Guido Michelone, critico musicale e docente vercellese, insegna Storia del Jazz all’Università cattolica di Milano e al Conservatorio Vivaldi di Alessandria. Scrive di critica musicale su quotidiani e riviste e al proprio attivo vanta una quarantina di saggi e biografie che spaziano dall’ambito cinematografico a quello sonoro in particolare (non solo jazz, ma anche pop, rock, classica, colonne sonore). Ci ha mandato questo delicato e toccante ricordo di Angelo Gilardino, che volentieri pubblichiamo:
Il mio primo incontro con Angelo risale a molti anni fa, io dodicenne, lui ventiseienne: siamo in piena era beat, io voglio imitare i capelloni, ma i miei genitori vietano tassativamente zazzere lunghe, camicie a fiori, jeans coloratissimi, stivaletti col tacco, ovvero tutto quel che, all’epoca, piace a me. Le uniche libertà concessemi sono l’ascolto di dischi (purché a volume moderato) e in seguito, visto l’amore da me mostrato verso la musica, l’acquisto di una chitarra per imparare a suonarla. Amo soprattutto il suono dello strumento elettrico e quindi rimango abbastanza deluso quando a Natale sotto l’albero trovo una Eko, chitarra classica per giovani principianti.
A quel punto entra in scena Angelo Gilardino che si presenta a casa mia con fare discreto, quasi timido, per impartirmi due lezioni a settimana di un’ora ciascuna. Angelo è diverso dai beat che vedo in tv o sui giornali, ha un look classico e un portamento adulto, ma qualcosa di bohémien, quasi dark (si direbbe oggi) trapela dal suo modo di essere, da come si pettina o dalle dolcevita indossate. Non è di molte parole, ma garbato, attento, preciso e intellettualmente curioso: nei momenti di pausa chiede con estrema gentilezza di poter vedere da vicino un quadro alla parete o di sfogliare un volume sulle mensole della libreria. Ricordo anche che mia madre e mia nonna stanno in un’altra stanza con l’orecchio vigile in attesa di ascoltare qualche meraviglia chitarristica; ma solo una volta, per accordarmi lo strumento, Angelo si produce in pochissimi minuti in una melodia eccezionale: mai sentito niente di più straordinario, anche se non oso chiedergli autore e titolo del pezzo (né ho occasione di riascoltarlo nei 3-4 recital da lui tenuti negli anni a seguire).
Angelo allora è spesso fuori Vercelli, le lezioni perciò si fanno più rare e io un giorno confesso a mamma e papà che i suoi insegnamenti sono troppo difficili per me aspirante beat, desideroso solo di imparare quei due-tre accordi per accompagnare al canto i motivetti beat alla moda. Non voglio diventare André Segovia e nemmeno Franco Cerri, ma soltanto un clone di Michel Polnareff con la sua Bambolina che fa no no no. Ritrovato Angelo anni dopo, ai concerti, al Quartetto, in tante diverse occasioni, dalle quali nasce via via un’amicizia sincera; ma questa è un’altra storia che al momento voglio tenere per me, ancora orfano sbandato dalla sua dipartita terrena.
Guido Michelone