L’ordine delle cose: quando il teatro si svolge in automobile

Foto di Vincenzo Scardina (Cromatica Foto)

«Lo spazio del teatro è un insieme complesso che non si può ridurre alla somma di scenografia e di architettura teatrale», scriveva Fabrizio Cruciani nel 1992 in apertura del suo testo fondamentale, intitolato appunto “Lo spazio del teatro”.

Nel saggio l’autore tratteggiava la storia dei luoghi della rappresentazione, partendo dall’epoca greca e romana, passando per il Medioevo e il Rinascimento, per arrivare al Novecento, il secolo per eccellenza delle sperimentazioni e dei sovvertimenti.

Quando pensiamo al teatro siamo abituati a quello all’italiana, codificato dal punto di vista architettonico da Palladio, e cristallizzato nell’Ottocento. La tesi di Cruciani è che in ogni spazio che ci circonda è possibile fare teatro. Si pensi ad esempio ad alcune scelte di Dario Fo o di Carmelo Bene.

Le compagnie teatrali vercellesi hanno seguito questa strada nel proporre “Shake”, la rassegna ospitata da palcoscenici singolari come il loggiato dell’ex chiesa di San Pietro Martire, il piazzale del Pisu, la Casa d’Arte Viadeimercati e… le automobili.

Sì, proprio delle automobili. L’idea è di Livio Ghisio e di Annalisa Canetto, fondatori di Progetto Outlier, che negli ultimi anni si sono fatti le ossa collaborando con IRAA Theatre di Renato Cuocolo e di Roberta Bosetti, due che hanno davvero rivoluzionato lo spazio del teatro, portandolo addirittura a casa loro.

È da questi e da altri presupposti che è nato “L’ordine delle cose”, spettacolo inserito nel calendario di “Shake” che si è svolto in due turni venerdì 24 e sabato 25 maggio, tutti da “sold out”, al punto che è stata inserita una nuova data il 4 giugno.

Gli spettatori sono stati divisi in otto auto e portati in giro per la città, mentre dall’autoradio le voci di Ghisio e di Canetto raccontavano una storia, riflettendo sul Tempo e sulla Memoria, accompagnati da canzoni che hanno segnato le loro vite.

Ogni auto segue un percorso diverso, per riunirsi alle altre in un unico momento del viaggio, per pochi minuti. In tutti i percorsi sono state privilegiate le periferie della città, i luoghi marginali, le case disabitate, le aree industriali dismesse, insomma quei posti dove i segni del tempo sono più evidenti.

Ma come è nato “L’ordine delle cose”? «Da due mesi era nata nostra figlia Alida (per lei un cameo nello spettacolo) – spiega Ghisio – In quei mesi Annalisa aveva letto due libri di Carlo Rovelli e questo ci aveva portato a leggere le lezioni e le pubblicazioni di fisica teorica di Stephen Hawking. Le casualità forse non sono mai così casuali: scegliemmo di lavorare non su un’opera nata per la scena, ma sui Sonetti di Shakespeare, selezionandone sei, tra l’altro non fra i più noti e frequentati».

Poi continua Ghisio: «Le cose hanno iniziato via via a prendere il loro ordine nelle nostre teste, a disporsi in modo da creare un viaggio a spirale nel nostro concetto di Tempo; nel nostro modo di viverlo e di attraversarlo. Tante contaminazioni sono entrate a muovere questo lavoro (non tanto nella composizione del testo, quanto nella sua componente visiva): Pasolini, Wenders, Tarkovskij, Bergman, Leone e soprattutto “Blue” di Derek Jarman».

Il cinema di Jarman è parlato, ma senza immagini, realizzato da un regista ormai cieco, che narra in presa diretta “la fine del suo personale tempo”. Dal punto di vista figurativo un importante riferimento è Hopper, in particolare quello delle sue vedute notturne.

Perché proprio l’automobile? «La scelta del viaggio in auto invece deriva dall’esigenza di mettere lo spettatore in una situazione di ascolto anomala: l’automobile è un luogo privato, intimo dove viaggiando ascoltiamo la musica che preferiamo, cantiamo quando nessuno ci può sentire e pensiamo alle cose a cui non possiamo pensare quando siamo con gli altri; ma questa è un’auto dove non siamo soli, è un’auto guidata da uno sconosciuto: è a lui che ci dobbiamo affidare, è lui (o lei) il tramite che abbiamo scelto fra noi e lo spettatore, in questo lavoro in cui viene confutato il principio primo del teatro: la compresenza dell’attore e dello spettatore in un unico luogo e in un unico tempo».

Il viaggio dentro “L’ordine delle cose” dura poco meno di un’ora. In molti hanno chiesto se questo spettacolo teatrale, che vira molto verso la performance, avrà un seguito, articolato magari in un qualcosa di più complesso. Gli autori garantiscono che, essendo un “work in progress”, sicuramente avrà degli sviluppi. Per ora lo definiscono «il cinema fatto da noi, che non sappiamo usare la telecamera».

m.m.

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