L’addio al dottor Ravera, icona di eleganza e di educazione

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Addio, dottor Ravera. Oggi siamo venuti in tanti a dirle addio nella chiesa che lei da sempre amava e frequentava, la sua San Cristoforo. E’ una giornata di gelo intenso oggi a Vercelli, ma, dentro, sotto gli affreschi gaudenziani, c’è il calore dell’amicizia che tanti le dispensavano e di cui – compreso chi scrive – erano onorati di condividere con lei. Ed ecco quindi tanti farmacisti, tanti clienti. Tutti a stringersi attorno a Paolo, a Duccio, alla sua bella famiglia.
Ogni viso, mille ricordi. Personalmente, io ricordo, bambino, lì da lei, nella sua farmacia di corso Libertà, il mio primissimo incontro con il generale Marcello Bertinetti, che mi tolse un moscerino che mi era entrato nell’occhio; quindi le conversazioni con il suo caro, e per me indimenticabile, papà. Spesso alla  presenza di mio padre e di mia nonna Maddalena, che faceva parte della vostra famiglia.
E poi, in tempi più recenti, le frequentazioni con Duccio, mio primo, straordinario suggeritore di libri (da “Il castello d’Otranto” di Walpole a “I racconti del terrore” di Poe), e quell’intrecciarsi di conversazioni sui temi più disparati – letteratura, cinema e sport in testa a tutto -, le punzecchiature calcistiche reciproche (ma ieri, io, anti juventino doc, ho gioioto per il gol-capolavoro di Dybala che ho ritenuto dedicato espressamente a lei), l’analisi dell’ultimo Truffaut e dei grandi libri, da Thomas Mann a Tanith Lee.
Nell’omelia del funerale, don Sergio Salvini ha trovato parole assai belle e non retoriche, per ricordarla. Innanzitutto il termine “eleganza”, che le si confaceva in modo particolare. Ma non quell’eleganza da “puzza sotto il naso”, come ha ben chiarito don Sergio. La sua era quell’eleganza dell’animo che si trasferiva nel carattere e collateralmente nell’abbigliamento. Eleganza dettata dall’educazione, dalla cultura, dal sobrio e generoso proporsi agli altri. Ed è appunto qui, che, rivolgendosi al suo Paolo, il parroco di San Cristoforo ha detto che ora tocca a lui portare avanti l’opera di questo padre (e della cara mamma, scomparsa tanti anni fa, ma il cui ricordo è ancora vivissimo a Vercelli): “So che sei una persona squisita, ma devi esserlo possibilmente ancora di più, specie con i clienti più anziani, male in arnese, sdentanti, che magari parlano a stento solo il dialetto. E così proseguirai l’opera del tuo caro, straordinario papà”.

 

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