DIVERGENZE 91 – La vergogna e la maglia da sporcare

Caro Presidente Secondo.
Le Sue amarissime e dure parole di ieri, dopo quella che passerà alla storia della nostra gloriosa Pro Vercelli come la partita della vergogna di La Spezia, ci inducono a riflessioni amare sul consuntivo di un’annata calcistica nata male e finita malissimo (tutto ciò con la speranza di rimangiarci tutto la sera del 18 maggio: i miracoli, a volte, accadono).

Negli spogliatoi, dopo avere bollato come “vergognosa” (l’aggettivo e il sostantivo di derivazione si ripetono perché non esistono sinonimi più adatti) la prestazione della squadra al “Picco” lei ha detto una frase tanto giusta quanto tagliente, rivolta ai giocatori e all’allenatore. Questa frase: “Visto che spesso ci riempiamo la bocca con discorsi relativi alla professionalità, credo che sia arrivato il momento di tirarla fuori, perché oggi non è venuto fuori granché sotto questo punto di vista”.

Condividiamo parola per parola, virgola per virgola. Questa squadra – costruita malissimo l’estate scorsa: da questo fatto non possiamo prescindere – ha profondamente deluso i tifosi proprio perché ha denotato, nei momenti cruciali, un’irritante carenza, appunto, di professionalità e di attaccamento alla maglia. E dunque, in questi giorni, La invito a far ripassare un po’ di storia delle “bianche casacche” ai giocatori e all’allenatore, per spiegare loro che cos’è la Pro Vercelli. Non Le chiedo di ripercorrere i tempi ormai remoti degli scudetti pionieristici (ma non solo pionieristici), dei padri fondatori, della città che è riuscita a dare alla Nazionale (record che non verrà mai superato) ben otto giocatori tutti assieme nello storico successo sul Belgio del 1913. E ho parlato dei calciatori nati a Vercelli, perché, per quanto riguarda la squadra, i giocatori della Pro quel giorno in Azzurro, a Torino, furono ben nove.

No, i tempi cui lei potrebbe appellarsi sono assai più vicini: dai quaranta ai cinquant’anni fa. Il suo racconto – corredato dalle immagini del mediometraggio di Matteo Bellizzi “Magica Pro” – potrebbe incominciare dagli ultimi cinque minuti dello spareggio del 30 maggio 1971 a Novara. Spareggio di serie D con la Biellese. La Pro è sotto di due gol, ed è ridotta in nove. All’ala gioca il terzino Poletti, infortunato, e l’arbitro Menicucci (che poi sarebbe diventato famoso) ha espulso Benassi (per inciso, sia Poletti sia Benassi ci hanno purtroppo lasciati; da molti anni se n’è andato anche il libero di quella squadra, Bullano, e qualche giorno fa ci ha pure lasciati il portiere schierato inizialmente in quella partita, Silvio Lamberti).
Anziché arrendersi alla sconfitta che sembra ineluttabile, i giocatori della Pro si guardano negli occhi e pensano: tutta questa gente (almeno in settemila, forse più, sono accorsi quel giorno da Vercelli) è qui per noi, non possiamo deluderla. E allora sotto a pareggiare (con l’acciacato Poletti e poi, in extremis, con Tonelli). E quindi, nei supplementari subito sotto di altri due gol, ma riecco Tonelli e ancora Tonelli. Tutti sappiamo come andò poi a finire, sette giorni dopo, a Torino, con la moneta (50 franchi francesi) lanciata in aria dall’arbitro Lanzetti da Viterbo.

Poi, Presidente, potrebbe ricordare, quasi esattamente un anno dopo, la doppia prodezza casalinga di Paolo Zarino con il Seregno, che ci valse la salvezza da una serie C che, faticosamente conquistata, stavamo per perdere subito. Secondo il mio collega Dario Corradino, redattore capo de La Stampa, Zarino, che rappresentava davvero il cuore della Pro Vercelli, con la sua carica agonistica, la sua caparbietà, il suo coraggio, non è mai uscito dal campo senza avere la maglia talmente sporca da doverla, poi, buttare nell’immondizia. Corradino diceva, scherzando (ma non troppo) che Zarino forse addirittura sporcava la maglia prima di scendere in campo.

Questo, Presidente, vorremmo vedere, da tutti, sabato contro la Ternana e poi, sei giorni dopo, a Cittadella. Vorremmo vedere la maglia sporca dei giocatori e di Grassadonia, sporca di agonismo, di carattere di furore. Puoi anche uscire dalla serie B (che per Vercelli, grazie a Lei, è stata un miracolo), ma a testa alta con dignità. Come ha detto Lei, almeno con professionalità. Insomma con la maglia sporca di sudore, non di vergogna.

ENRICO DE MARIA

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