Mancano pochi minuti alle 19 del 4 marzo 2020. Il sole è appena tramontato e nell’aria anziché l’imminente primavera si coglie qualcosa che non doveva accadere, ma che sta accadendo. Qualcosa che anche secondo gli esperti non doveva arrivare, ma sta arrivando. Quella sera mancano ancora cinque giorni all’annuncio del lockdown che il presidente Conte darà in diretta, mettendo tutti gli italiani in isolamento forzato per sessantanove giorni.
Quel 4 marzo si intuisce però che ciò che sta accadendo in alcuni piccoli centri della Lombardia (Codogno, su tutti) finirà prima o poi per travolgerci tutti, tuttavia la maggioranza degli italiani spera ancora che si tratti solo di un brutto sogno.
Ma quella sera, poco prima delle 19 del 4 marzo 2020, le quattro persone che si trovano all’interno dell’Accademia di arti marziali Shen Qi Kwoon Tai si sono già rese conto che quella parola “Covid”, che in pochi riescono a pronunciare correttamente, finirà col riguardarci tutti. Difatti l’unico uomo di quel piccolo gruppo, Carlo Olmo, il fondatore e maestro dell’Accademia, ha già chiuso la sua struttura spiegando ai trecento iscritti che è troppo pericoloso continuare a tenere i corsi. Lo ha saputo dai suoi amici cinesi, Paolo Hu in testa: purtroppo sta toccando anche a voi. E adesso i quattro sono lì: lui, Olmo, la sua compagna Angela Oliviero, e le maestre e amiche Serena Rubini e Antonella Rossi. Sono lì per sistemare per bene le cose, semplicemente per rassettare, intuendo che la chiusura potrebbe essere lunga. Ma anche per pregare.
Carlo Olmo indossa la divisa cerimoniale e incomincia a pregare, in aramaico, invocando la protezione contro la pandemia. Ed in aramaico recita, anzi salmodia il Padre Nostro.
Perché proprio il Padre Nostro, e perché in aramaico?
“Non sono un cattolico praticante. Ma da sempre il cattolicesimo delle origini, con il suo messaggio straordinario, quello portato dall’apostolo Marco in Egitto, e tramandato dai monaci copti mi affascina. Ho studiato l’aramaico anche nel monastero di Bose e conosco almeno una trentina di ‘mantra’ di meditazione efficaci in momenti difficili, ma nessuno ha la forza, la spiritualità del Padre Nostro recitato in aramaico. La pandemia stava arrivando, mi sembrava giusto, quel giorno, pregare affinché risparmiasse tante vite, e perché mi desse la forza di aiutare le persone che, me lo sentivo, avrebbero avuto bisogno di me”.
E che cosa accadde?
“Accadde che Serena Rubini filmò con il cellulare quella preghiera e che guardando il filmato, il giorno dopo, si accorgesse di qualcosa di incredibile: accanto a me, mentre pregavo, era apparsa l’immagine di un lupo bianco. E tra l’altro, proprio dove c’è il quadro che rappresenta il monaco indiano del 500 dopo Cristo Bodhi Dharm, il fondatore delle arti marziali, colui che portò il Buddismo in Cina e in Giappone. L’immagine del Lupo Bianco era evidente, non poteva essere un caso. Io stavo pregando perché la pandemia risparmiasse vite umane, e la risposta era l’immagine di quell’animale, regale, maestoso coraggioso. Era un segnale. Cosicché, pochi giorno dopo chiamai il mio cardiologo e amico Sergio Macciò e gli domandai: leggo che l’ospedale è in sofferenza, avete bisogno qualcosa? Macciò mi richiamò poco dopo: ‘Sì, Carlo, la Rianimazione ha assolutamente bisogno di respiratori, riesci a procuraceli tu?’. Mi mossi subito, e nel giro di qualche giorno il primario, Carlo Olivieri, ebbe quei ventilatori polmonari. La missione del Lupo Bianco era partita”.
(Qui il link all’articolo dove si vede il video di quella preghiera, quando apparve il Lupo Bianco)
E poi toccò alla mascherine.
“Visto che ero riuscito a recuperare abbastanza in fretta i respiratori, il dottor Macciò mi segnalò anche un altro problema, che mi sembrava incredibile: non solo, proprio in quei giorni cruciali, quando i contagi incominciavano ad aumentare in modo esponenziale, Macciò mi disse che non solo non c’erano mascherine per la popolazione, che comunque era chiusa in casa per il primo Dpcm Conte, ma che lo stesso ospedale faticava a reperire le preziose mascherine Ffp2, essenziali per curare i malati. Poi, una sera, mi arrivò anche la chiamata del dottor Pier Giorgio Fossale, che io non conoscevo bene, se non come amministratore pubblico impegnato, fino a pochi anni prima, nell’ambito delle politiche culturali. Fossale mi chiamava dal suo letto di ospedale. Aveva un filo di voce, ma si confidò con me, parlandomi anche delle sue paure (quella di non farcela a rivedere il nipotino che era appena nato) e dell’angoscia con cui i suoi colleghi stavano affrontando a mani nude il Virus. Quella telefonata mi ha cambiato la vita: sentire un uomo da sempre ritenuto forte e coraggioso, un sostegno per tutti i suoi assistiti, un medico eccezionale, implorarmi di aiutare lui e gli altri mi ha scosso profondamente. Mi ha dato le reali dimensioni di che cosa ci era davvero piombata addosso. Poi arrivò anche la telefonata di un altro grande medico: il dottor Gianni Scarrone. La ricordo come fosse adesso: “Lei, avvocato, non mi conosce. Ma le parlo a nome di 127 medici di famiglia disperati perché dalla Sanità non abbiamo ricevuto praticamente niente, se non poco, pochissimo, per aiutare i nostri assistiti e per proteggere noi stessi. Ci aiuti”. Quando gli risposi che gli avrei procurato tremila mascherine Ffp2, e altri Dpi indispensabili, avvertii una sorta di naturale scetticismo nella sua voce. Ma poi anche quei Dpi arrivarono in fretta e, con commozione, ricordo che quando lo chiamai per venirli a ritirare a casa mia, Scarrone, addirittura, si inginocchiò per ringraziarmi, ed una delle dottoresse del suoi gruppo di medici di base, Amalia Popescu, mi scrisse quella lettera meravigliosa, che conservo tra i ricordi più importanti della mia vita. Ricordo che consegnai in un solo colpo altre 16.500 mascherine anche all’ospedale, con l’aggiunta di altri preziosi Dpi. Oggi Fossale e Scarrone, sono tra i miei amici più cari. Scarrone mi ha addirittura accompagnato nella missione più emozionante nella prima pandemia: quella per la consegna delle mascherine ai medici di Bergamo, il Golgota d’Italia”.
Ha tenuto il conto di quanti Dpi ha donato in questo anno?
“Grosso modo sì: 160 mila mascherine, di cui 40 mila alla cittadinanza vercellese, 12 mila tute protettive per i medici, 8 mila visiere, 50 mila guanti, centinaia tra saturimetri e termoscanner, quindi ecocardiografi alla Cardiologia e alla Cri di Gattinara, le Sale degli Abbracci. Il tutto è andato a 24 Comuni, 21 Case di Riposo e a quattro Asl”.
Un anno incredibile, tra l’altro con molti riconoscimenti pubblici da parte di diversi Comuni e, soprattutto, l’onorificenza di Cavaliere Bianco del Coronavirus da parte del Presidente Mattarella e l’annuncio di un film su Lupo Bianco. Riconoscimenti a parte, e medici già citati, quali sono stati i volti che Carlo Olmo non dimenticherà in questo primo anno di missione del Lupo Bianco?
“Sarebbero tantissimi. Ne cito alcuni, assai noti, come quelli dei miei angeli custodi che, scortandomi, mi consentivano di portare a termine le mie missioni in pieno lockdown: alludo alle Volorie, guidate dal colonnello Christian Ingala e dal tenente colonnello Andrea Maria Gradante. E poi la cara direttrice amministrativa dell’Asl Anna Burla, che andava in ufficio anche di notte per certificare alle Dogane le richieste ufficiali delle mascherine che io riuscivo a fare arrivare in Italia. Ingala, Gradante e Burla hanno lasciato la nostra città, ma continuano a risiedere nel mio cuore. Così come Federica Sassone, il mio angelo delle dogane, che per fortuna continua a rimanere qui. E poi i miei ‘lupi bianchi’, con me nei Charity Tour, e anche le persone che sono apparse all’improvviso, vere isole di felicità, nella mia vita. Ad esempio, la signora che fa le pulizie in un condominio che proprio pochi giorni fa mi ha riconosciuto, per strada e che mi ha detto: ‘Lo sa che l’arrivo della sua mascherina nella buca delle lettere è stata la prima cosa positiva che mi è successa dopo l’inizio del lockdown? Perché è stata un primo messaggio di speranza’. Un volto che ho scorto per pochi minuti, ma che mi è rimasto impresso come quello di tanti, tantissimi altri. Non faccio nemmeno lo sforzo di tentare di ricordarli tutti, perché sarebbe impossibile, e non vorrei fare torto a qualcuno”.
E’ passato un anno da quel giorno. Dal giorno del Lupo Bianco. Una sorta di compleanno. Ha ricevuto qualcosa in regalo?
“Angela ed io abbiamo ricevuto la notizia dell’intitolazione, a nostro nome, di una scuola che abbiamo finanziato, in Togo, e proprio oggi mi è arrivata la sceneggiatura definitiva del film sul Lupo Bianco. Non potevamo ricevere regali più belli”.
Ad un anno dal 4 marzo 2020 che cosa si sente di dire ai suoi concittadini, soprattutto a chi soffre, ma anche ai giovani, stremati da questa pandemia?
“Di avere fede, di credere che ce la faremo, e, nel frattempo, di trasformare le naturali vocazioni al bene, che tutti coltiviamo, chi più chi meno, nell’aiuto al prossimo in missioni. Come ha fatto il Lupo Bianco”.
Edm