Sergio Maria Gilardino: “Quel carteggio con mio fratello Angelo sul nostro dialetto”

Dopo Sergio Givone, ieri, nella Sala convegni della Fondazione Carisver, affollata di gente, è arrivato Sergio Maria Gilardino a spalancare a tutti noi un’altra prodigiosa finestra sulla vita di Angelo Gilardino, il suo grande e indimenticabile fratello.

La conferenza del famoso linguista (dal titolo semplice ed essenziale: “Mio fratello Angelo”) era molto attesa perché in tanti conoscevano il brillante, facondo e generoso relatore di tanti appuntamenti di “VercelliViva” (in sala, con il figlio adottivo del compositore vercellese Alessandro Gilardino, con il presidente della Fondazione Carisver Aldo Casalini e con il vice sindaco di Asigliano c’era anche il presidente onorario dell’Associazione, l’avvocato Antonino Ruffino) e quindi c’era enorme curiosità sul “come” Sergio Maria Gilardino avrebbe affrontato il tema, anche perché in molti (compreso chi scrive) ricordavano – conferenze di VercelliViva a parte – la stupenda orazione funebre che egli aveva riservato, in Duomo, all’amico pittore Adriano Nosengo.

L’attesa non è andata delusa. Sergio Maria ci ha svelato un Angelo Gilardino che non conosceva nessuno, neppure gli amici più cari, quelli che hanno costituito l’Associazione a lui intitolata, organizzatrice della rassegna “Il legno che canta” e dunque anche della conferenza di venerdì. Ci ha svelato un Angelo Gilardino che, all’improvviso, dopo essersi sempre rifiutato di parlare in famiglia, con mamma e fratello,  il dialetto di Asigliano – il paese della sua adolescenza – pochi anni prima di morire incomincia a tessere un dialogo continuo, via e-mail, con il  fratello linguista sui vocaboli i modi di dire della loro Asigliano.
Sergio Maria ne resta stupefatto e incantato perché l’Angelo con il quale avvio quello straordinario carteggio “durato due anni e tre mesi circa” è una sorta di Narratore della “Recherche” che, pur senza ricorrere alle “madeleines”, non solo rispolvera centinaia di parole e di detti che aveva evidentemente immagazzinato nella sua prodigiosa memoria, ma li “rivive” nel momento stesso in cui li aveva ascoltati. E quando Sergio Maria Gilardino parla ad un collega di questo miracolo che gli consente di avere “in casa” un tanto inatteso quanto straordinario “informatore linguistico”, il collega, stupefatto, non può che rispondergli di “esserselo inventato lui”, talmente questa rivelazione può apparire non solo sorprendente, ma soprannaturale agli occhi di un addetto ai lavori che ben conosce le difficoltà, le fatiche di quel compito.

Siamo simnuovo nel solco del “caso speciale” più volte citato, a proposito di sé stesso, da Angelo Gilardino nella sua autobiografia “Io, la chitarra e altri incontri”. 

Nella conferenza di venerdì, Sergio Maria Gilardino ha ricordato che il fratello aveva incominciato a leggere (il giornale) all’età di tre anni e che poi, più in là negli anni, da lettore onnivoro di libri, gli chiedeva di scegliere la pagina di un romanzo, di leggerne qualche riga, e lui proseguiva e memoria citando tutto il resto.

È da quella memoria prodigiosa che, di colpo, è sgorgato quel carteggio che avrebbe potuto portare, se Angelo non fosse morto, alla stesura della variante di Asigliano Vercellese del “lessico piemontese” tanto amato fa Sergio Maria Gilardino.

Ci sarebbe a questo punto da domandarsi il perché di questa improvvisa esplosione di un passato chiuso a doppia, tripla mandata, e poi dispiegato a piena voce, con quel carteggio infinito, spesso notturno (perché di giorno Angelo componeva freneticamente la sua musica), in cui i due fratelli strologavano su termini desueti come “magatùlu” (una sorta di babau evocato per spaventaare i bambini) o “bruenda” (ubriacone), ricercando le etimologie (spesso di derivazione straniera: francese, spagnola, etc.) di quelle parole.

Ci sarebbe da domandarsi perché, nell’imminenza, nel presentimento della morte, Angelo Gilardino abbia aperto quello scrigno, riversandolo nel mondo del fratello, che solo avrebbe potuto accoglierlo.

Forse una risposta può arrivare dal discorso che egli pronunciò ad Asigliano, il 16 novembre 2021, giorno del suo ottantesimo compleanno, quando il sindaco Carolina Ferraris gli consegnò la cittadinanza onoraria, ed il “carteggio” con il fratello era ben aperto, anzi si stava purtroppo concludendo. Disse allora Angelo Gilardino: “Per i primi nove anni della mia vita non ho fatto altro che nutrirmi di Asigliano, dei suoni del paese che costellano l’esistenza di ogni giorno: quelli dei venditori di frutta e di verdura, di pollame e di bestiame. Asigliano per me era il mondo dell’immaginazione, ed è stato la fonte permanente di tutto ciò che ho scritto (…) e che ho composto: sono stato artista in quanto asiglianese”.

La finestra che Angelo Maria Gilardino ha aperto, anzi spalancato venerdì su Angelo, con la sua meravigliosa conferenza, che lui ha voluto giustamente chiamare “dialogo”, con il fratello, ci ha fatto tornare alla mente, riapprezzandole ancora di più quelle parole. Per il pubblico in Fondazione, per la città, un dono tra i più inattesi e dunque preziosi.

Al termine della conferenza, il presidente dell’Associazione “Angelo Gilardino” ha consegnato all’oratore una targa di riconoscenza e parole di elogio dell’avvocato Casalini per l’iniziativa “Il legno che canta” che stasera, al Dugentesco (inizio alle 21), prevede il concerto di uno straordinario chitarrista bresciano: Giulio Tampalini.

Edm

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