Il racconto della missione in Bosnia di Mamre

Riceviamo e pubblichiamo volentieri il racconto di Mario Metti che ha partecipato al sesto viaggio umanitario “Mamre. Missione Bosnia”. I volontari dell’associazione torneranno a Bihac, Vucjak e Velika il 31 ottobre.

Vucjak è una piccola località sulle colline non lontana da Bihac e a quattro chilometri e mezzo dal confine con la Croazia. Letteralmente Vucjak significa La tana del lupo. La zona dove è stato allestito da pochi mesi il campo profughi è in un’ex discarica di rifiuti tossici a cielo aperto dove la municipalità di Bihac aveva inizialmente previsto di allestire un canile, dato l’elevato numero di randagi presenti in città, ma la zona non è stata ritenuta idonea… per i cani, ma per gli uomini sì.

Ma non c’è alternativa e almeno qui nelle tende offerte dal governo turco ci si ripara dal vento, ma non certo dal freddo che arriva pungente con temperature ben sotto lo zero. Siamo arrivati la mattina di sabato 21 settembre accompagnati dal direttore della Croce Rossa di Bihac dove la sera prima avevamo scaricato due furgoni stipati di indumenti invernali, scarpe, tantissimi k-way e grandi rotoli di teli di plastica trasparente per le tende da campo.

Siamo in otto, Claudio e Giuseppe della Croce Rossa di Arona che ha messo a disposizione anche un furgone, e poi Massimo, Mauro, Giorgio, Elena, Aldjana e io. Ci sono due poliziotti all’entrata del campo, ma grazie al direttore della Croce Rossa abbiamo il via libera; si entra quasi in punta di piedi per il rispetto a tante persone, almeno cinquecento, quasi tutti giovani uomini, che vivono in condizioni disumane.

Tanti di loro sono nelle tende a preparare sul fuoco, alimentato da piccoli rametti di legno recuperati nei boschi vicini, qualcosa da mangiare, altri si lavano vestiti alle docce allestite all’aperto, altri camminano con ciabatte, scarpe rotte o infradito: preservano l’eventuale paio di scarpe chiuse per il “game”, il tentativo di superare il confine con la Croazia.

Mauro e Giorgio si intrattengono con un ragazzo e subito si crea un capannello di persone: tutti vorrebbero raccontarsi, tutti nella fatica, nella sofferenza, mantengono viva la speranza di poter arrivare nell’Europa dei diritti, dove ricongiungersi con un familiare, un amico, dove ritrovare la dignità di uomo.

Ma per arrivare in Europa bisogna affrontare il passaggio nei boschi della Croazia prima e della Slovenia poi per giungere nella città ormai militarizzata che è Trieste. Nei boschi tanti di questi ragazzi vengono catturati, derubati, viene loro rotto il cellulare, vengono picchiati e respinti togliendo loro anche le scarpe per rendere più difficile il cammino. Tanti ne abbiamo incontrati nella tarda mattinata lungo la strada che da Bihac va verso Kladusa, almeno 30-40 che avevano tentato il “game” ed erano stati respinti.

Insieme agli amici Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi di Trieste abbiamo incontrato nel pomeriggio due volontarie dell’associazione spagnola No Name Kitchen con cui collaboriamo. Loro hanno parlato con uno di questi ragazzi, rimasto attardato dal gruppo che camminava lungo la ferrovia perché aveva una brutta ferita a una gamba provocata dalla polizia croata che, dopo averlo bastonato e derubato, gli aveva percosso l’arto con una sbarra incandescente, lasciando la pelle viva esposta alle infezioni senza nessuna possibilità di potersi recare all’ospedale o almeno in una farmacia per farsi medicare.

E che dire di Alì, anche lui torturato dalla polizia, lasciato andare senza scarpe nella neve, arrivato il 7 febbraio al campo di Kladusa con i piedi in necrosi e che il 21 settembre è morto, lontano dai suoi cari, nell’ospedale di Bihac?

Il quotidiano La Stampa riportava questa frase alcuni giorni fa: «I rifugiati diventano gli altri, ombre, fantasmi indefiniti che incutono paura». La realtà è che sono uomini, donne e bambini come noi, alla ricerca disperata di una speranza di poter continuare a vivere. Chiediamoci come vorremmo essere trattati se al posto dei migranti ci fossimo noi.

Bihac e Velika Kladusa sono i passaggi obbligati della rotta balcanica che porta queste persone dalla Siria, dall’Afghanistan, dal Pakistan: la gran parte di loro aveva un lavoro nel suo paese, ragazzi, uomini che hanno studiato, che si sono formati e che chiedono solo di poter continuare a vivere.

La Croazia ha di recente annunciato di aver arrestato ed espulso oltre 11mila migranti, mentre la Bosnia parla di 22mila migranti registrati senza contare quelli in transito.

E l’Europa? I nostri stati pagano milioni di euro a questi stati perché incrementino i controlli, rendano più sicure le frontiere con muri, filo spinato, polizia, insomma per far sì che queste persone non arrivino da noi.

Torneremo il 31 ottobre a Vucjak, a Bihac e a Velika Kladusa per portare scarpe invernali, prodotti per l’igiene personale, materiale sanitario, ma vi chiediamo di collaborare anche e soprattutto per far conoscere questa tragica realtà che è qui alle nostre porte, a 750 km da Borgomanero.

Don Tonino Bello diceva spesso: «Delle parole dette mi chiederà conto la Storia, ma del silenzio con cui ho mancato di difendere i deboli dovrò rendere conto a Dio».

Mario Metti

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