Più passano gli anni e più fatichiamo a escogitare nuove iperboli per celebrare gli eventi della Camerata Ducale, specie quelli toccati dallo stato di grazia. E ieri sera, per comme
ntare l’omaggio al tango realizzato da tre musicisti del valore della pianista Gloria Campaner, del clarinettista Alessandro Carbonare e del bandoneonista / fisarmonicista Stefano Pietrodarchi e da due danzatori come Chiara Benati e Andrea Vighi, occorrerebbe forse scomodare l’Intelligenza Artificiale per rintracciare nuovi aggettivi oltre agli acconci, ma risaputi e dunque banali come “fantastico”, “eccezionale”, “incredibile”.
Ma visto che l’AI ci incute timore dai tempi di Kubrick e della sua Odissea, lasciamo stare e ripariamo, in modo banale ed efficace sul “sublime”. Perché tale è stata la serata di ieri sera al Civico, che mai, per il pubblico, sarebbe dovuta finire, ma, ahimè è finita. E mai come ieri ci è sembrato troppo presto.
Perché davvero, suonando Gardel e soprattutto Piazzolla, i tre musicisti (con la collaborazione essenziali dei danzatori vice campioni d’Europa di Tango Escenario) hanno saputo esprimere quella “nostalgia di vite non vissute” (l’acuta citazione è di Francesco Sappa) in cui Borges vedeva la vera, profonda, inesprimibile natura del tango.
Abbiamo frequentato il Civico e il Dugentesco per decenni e assistito grazie, prima al Quartetto di Robbone e ora alla Ducale, a tanti concerti memorabili. Però, quelli a cui ti capita di ripensare sono in fondo una manciata, un po’ ti capita quando devi concentrarti sui libri, sui film del cuore. In testa te ne sfarfallano tanti, poi scegli. E così ci viene in mente una rappresentazione di “Rigoletto” con Leo Nucci ed un soprano, probabilmente argentino, che si chiamava Norma Palacios, un concerto del Quartetto Italiano, ci pare nel ‘74, uno di Giovanni Sollima, con il suo violoncello, ancora con l’incubo incombente del Covid, l’esordio chitarristico di Marco de Santi al Dugentesco e, per rimanere sulle sei corde, il recente recital di Thibaut Garcia, ma al “Borgogna”, la prima volta del pianista Lazar Berman al Dugentesco e, molti anni dopo, l’integrale dei 24 Capricci di Paganini del figlio violinista Pavel, al Civico. E poi la tromba di Sergei Nakariakov.
Ci sono sicuramente stati altri momenti, che qualche intermittence du coeur, fatalmente, ci farà rivivere. Ma per ora i ricordi incancellabili sono quelli citati. Ci aggiungiamo ieri sera.
Edm





