Le collezioni del Borgogna si arricchiscono con la Madonna del latte di Aimo Volpi

Caldera, Ferraris e Pagliaro davanti alla Madonna del latte (500 ca.; tecnica mista e oro su tavola; 56 x 41 cm)

Una nuova opera va ad arricchire le collezioni del Museo Borgogna: la Madonna del latte, attribuita ad Aimo Volpi, che un donatore privato ha prestato in comodato d’uso. Lo stesso donatore – come ha sottolineato il presidente Francesco Ferraris – ha chiesto di restare anonimo. Alla presentazione del dipinto, che è già esposto, c’erano anche il funzionario della Soprintendenza per la città Metropolitana di Torino Massimiliano Caldera e il restauratore Cesare Pagliero, le due persone che si sono occupate rispettivamente di studiare la tavola e di riportarla al suo splendore originario.

Chi è Aimo Volpi e cosa rappresenta la Madonna del latte? Partiamo da quest’ultima. La Madonna del latte è un’iconografia ricorrente in pittura, almeno fino alla Controriforma del XVI secolo, quando venne stabilito di evitare immagini dal contenuto troppo sensuale o comunque esplicite.

La Madonna è raffigurata nell’atto di allattare a seno scoperto il Bambino. Visto il soggetto, si tratta di immagini a scopo devozionale, pensate per una committenza privata, come si evince dalle dimensioni ridotte. L’origine è antica (parliamo di antico Egitto e poi epoca bizantina), tuttavia è a partire dal 1300 che l’iconografia comincia ad attestarsi con una certa frequenza.

È nei due secoli successivi che assistiamo alla produzione maggiore. Tra gli esempi più rilevanti citiamo Ambrogio Lorenzetti (1325), la Madonna Litta (1490) dell’Ermitage, attribuita a Leonardo, ma verosimilmente realizzata da Giovanni Antonio Boltraffio o da Marco d’Oggiono (due allievi del maestro toscano), Correggio (1524), la Madonna di Lucca di Jan van Eyck (1436) e quella del Dittico di Melun di Jean Fouquet (1455), dove la Vergine è frontale e non di tre quarti come avviene più frequentemente.

Così è nella Madonna del latte di Aimo Volpi, artista documentato a Casale Monferrato e a Saluzzo. Non sappiamo molto dei Volpi: Giovanni Romano nel suo Casalesi del Cinquecento scrive che sono «nativi di Casale Monferrato e cognati di Martino Spanzotti, documentati nella bottega del maestro tra 1498 e il 1502, ma il loro sodalizio fu indubbiamente più costante e protratto nel tempo». Entrambi sono molto attenti ai fenomeni artistici circostanti. A Casale, osservano e interpretano il gusto dei Paleologi che nel frattempo avevano sposato il gusto toscano e romano.

Dei Volpi il Museo Borgogna possiede il san Francesco e san Michele arcangelo, pannello sinistro del trittico proveniente dalla parrocchiale di San Martino di Conzano; san Sebastiano e san Rocco, entrambi dalla raccolta del professor Giuseppe Niccolini; ora la Madonna del Latte, posizionata al centro dell’allestimento per offrire l’evoluzione del linguaggio pittorico; Michele arcangelo e san Francesco, forse nella chiesa di San Francesco a Casale; santa Chiara d’Assisi e san Sebastiano che presentano un devoto, anch’esso si pensa da San Francesco a Casale.

Tornando alla Madonna del Latte di Aimo Volpi, Caldera ha spiegato provenire dalla collezione di Pietro Foresti di Carpi. L’unica testimonianza fotografica che abbiamo è quella presente nell’archivio della Fondazione Zeri a Bologna, che la riferisce a Macrino d’Alba dato lo stretto rapporto con la Madonna col Bambino, detta Borletti. Tuttavia un confronto serrato con una Madonna simile, che si trova a San Giacomo di Rimasco in Valsesia, ci fa propendere verso Aimo Volpi.

«L’artista ha ripreso il soggetto in più tavole – ha raccontato Caldera – La più nota si trova a Rimasco, è una versione più arcaica rispetto a quella qui esposta che mostra l’assenza delle aureole e un più morbido dettato pittorico. La tavola si inserisce in una importante serie di variazioni del modello che indica il deciso aggiornamento in senso rinascimentale del linguaggio pittorico piemontese in un progressivo allontanamento, all’interno della bottega casalese dei Volpi, dai modelli spanzottiani per accostarsi, anche grazie a Macrino d’Alba, alle novità milanesi della “maniera moderna”».

La Madonna del latte di Aimo Volpi è stata sottoposta a un accurato intervento di restauro, curato da Cesare Pagliaro. Non è stato il primo, come è risultato all’analisi dei raggi infrarossi. Ce n’è stato un altro, sicuramente recente visto l’utilizzo di colori sintetici, che Pagliaro e Caldera hanno definito molto accurato. La tavola scelta dall’artista è di pioppo, presa nella parte del tronco vicino al midollo, dunque con una buona stabilità. Per quel che riguarda i colori, il restauratore ha schiarito parti dell’incarnato, operato sugli scuri e messo in evidenza l’aureola del Bambino.

Massimiliano Muraro

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2 Commenti

  1. Finalmente una buona notizia, e anche + di una:
    1 – assistiamo all’emergere in questo fine di 2020 di un filantropo che, in quanto tale, pare un po’ più “attendibile” dei soliti, infatti vuol mantenere l’anonimato .. non sappiamo chi è ma siamo certi di chi non sia: per esempio Bill Gates .. si tratta di persona equilibrata infatti, avendo capito in che mani ci troviamo (mi riferisco al mondo) il prezioso dipinto lo ha dato (soltanto) in comodato d’uso.
    Secondo punto: a margine della dottissima disquisizione del dipinto del quale si tratta .. suggerirei, se volete andare all’Ermitage .. fatelo pure! … anche perché .. avanzerei, da non competente, qualche dubbio sul fatto .. che:
    “ (…..) madonna, Ambrogio Lorenzetti (1325), la Madonna Litta (1490) dell’Ermitage, attribuita a Leonardo, ma verosimilmente realizzata da Giovanni Antonio Boltraffio o da Marco d’Oggiono (due allievi del maestro toscano) .. non sia DI Leonardo”.
    Direi che, forse .. vale, come per il Covid-19, l’ipotesi che può essere “morto per” o “morto con” .. spesso anche Leonardo dipingeva solo alcune parti, le più complesse e significative, del dipinto per “coltivare l’artista di bottega”, bravo, bravissimo o ciuco che fosse .. lasciandogli campo libero sul resto .. è bello pensare, fino a prova contraria (necessita un esame molto complicato, di solito), che ciò valga nel nostro caso.
    Terzo punto, fa piacere che s’è evitato di ossequiare altre culture e non s’è tornati “ fino alla Controriforma del XVI secolo, quando venne stabilito di evitare immagini dal contenuto troppo sensuale o comunque esplicite ”.

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