“La fine della Cerutti a Vercelli: assurde le accuse rivolte al sindacato”

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una profonda diflessione di un ex dipendente delle Officine Meccaniche Cerutti, Mario Ferrari, sui fatti che hanno portato, purtroppo, alla fine dell’azienda vercellese dopo 51 anni.

Gentile direttore,

sono entrato alla Cerutti il 6 novembre del 1973 in un mattino di pioggia leggera e vento, ventenne affannato sui pedali della bice di mia zia, sulla quale sembrava di pedalare seduto sul bidet, essendo saltati i freni della mia al primo tocco. Ero in ritardo di un minuto. Debutto disastroso. Ne sono uscito da una stretta finestra fra un ammortizzatore sociale e l’altro a gennaio del 2014, tre anni di mobilità; problemi in famiglia ed un lavoro residuale di sole sparute, inutili presenze mi hanno spinto fuori.

Ora la storia produttiva della Cerutti di Vercelli (a Casale non si sa cosa accadrà), il perno della produzione Cerutti, è finita. Una fine che si poteva temere fin dal 2008/2009 ma che a giudizio di molti, dall’operaio più esperto al direttore, era possibile contenere sfruttando anche l’occasione per risolvere i tanti, decrepiti, problemi organizzativi, quasi senza costi, e accelerando le novità ferme in attesa. È finita l’azienda che non poteva finire. E cosa si potrà fare dopo tutti questi anni di sofferenza la sanno solo Giancarlo Cerutti e pochi altri.

Di certo chi può offrire aiuto e supporto a dipendenti e azienda c’è a cominciare dal Comune di Vercelli che sulle questioni lavoro e impresa mi sembra lento e quasi indifferente. Ciò detto devo segnalare quante parole inutili ma anche fantasiose e dannose sono state sprecate soprattutto su Facebook dove a ricevere più schiaffi quasi tutti immeritati è stato il sindacato. Schiaffi tirati spesso da chi non saprebbe distinguere un sindacato da un elicottero, da chi con sindacato e rappresentanze dei lavoratori non ha mai scambiato una sola parola, da chi pensa che il sindacato detenga poteri che non gli spettano, non ha mai avuto e mai avrà, da chi ha sempre atteso diritti (per lo più conquistati da altri) senza un minuto di impegno e da chi è addirittura tanto sprovveduto da rimpiangere il “sindacato” di conio fascista. Una desolazione.

Ebbene voglio ricordare che il periodo d’oro della Cerutti, anni ‘60/‘70/’80, quello dei signori Mairino, Mariano, Nebbia, Maglione, Fumagalli, ecc. mentre dal lato dei lavoratori voglio ricordare, per non sembrare sbilanciato, solo il compianto Sanzone (Si, faccio i nomi; lo meritano!) è corrisposto al periodo delle maggiori conquiste per i diritti del lavoro, ottenute con faticacce, resi duraturi con l’attenzione e la perseveranza. In tutti quegli anni, i più duri per il Paese, fra scontri e tensioni, ha sempre prevalso da entrambi i lati la responsabilità, la prudenza, la chiarezza e, guarda caso, il reciproco rispetto e fiducia, e spesso collaborazione. Da tutto questo sono usciti contratti aziendali pilota, citati come esemplari da Lama in piazza a Roma, sudatissimi dopo interminabili trattative.

Nessun regalo in nessun momento come è giusto che sia. Trattare, ovvero il compito per il quale il sindacato esiste. Poi, a sparigliare ogni cosa, la globalizzazione deformata, la crisi del settore e quella del 2007 che hanno colto tutti impreparati. Impreparati, non stupidi masochisti. Così, chi non conosce o non ha compreso almeno una parte di quelle vicende, in quel tempo bollente, è sollevato dal sentirsi in dovere di dire scemenze di varia magnitudine. Taccia, si informi, rifletta facendo così una miglior figura e assicurandosi una più profonda capacità di comprendere le difficoltà di oggi.

Mario Ferrari

 

 

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