È la Cappella Pettenati il primo fiore a sbocciare nella primavera vercellese

La Cappella Pettenati (foto Renato Greppi)

Il quintetto d’archi della Camerata Ducale, diretto dall’inconfondibile violino di Guido Rimonda, ha tenuto a battesimo la Cappella Pettenati nell’ex chiesa di San Marco, oggi principale polo espositivo della città. Proprio davanti al contenitore Arca, che sta ospitando i Prodigi di Bellezza di Francesco Messina, martedì 22 i musicisti hanno accolto lo svelamento di un altro ciclo pittorico eseguendo brani di Trovajoli, Viotti, Saint-Saens, Haydn e Bruch.

Il quintetto d’archi della Camerata Ducale, diretto da Guido Rimonda (foto Greppi)

Quello della Cappella Pettenati è l’ennesimo ciclo pittorico che San Marco regala alla storia dell’arte vercellese. Merito del Comune di Vercelli e del lavoro certosino della restauratrice Maria Luisa De Toma e del direttore del cantiere Antonio Besso Marcheis. Degrado, colori ossidati, efflorescenze saline, muffe di vario genere sono soltanto alcuni dei problemi che il team ha incontrato sul proprio cammino.

Però, come si suol dire, il gioco è valso la candela poiché da anni Vercelli desiderava riportare alla luce questo gioiello nascosto che si va a unire agli altri capolavori che la chiesa ha restituito: l’Albero di Jesse, le Storie della Vergine nella navata di destra, il Sant’Antonio nella parete di fondo della navata di sinistra, e ancora l’effigie dei Visconti, la Madonna in Trono con il Bambino, il San Gregorio Magno, senza contare la ricca e variegata decorazione delle volte, dei costoloni e delle pareti.

Era il 2008, periodo delle mostre Guggenheim, quando si cominciò a capire che quella chiesa, fino a pochi anni prima utilizzata come mercato coperto e andando più indietro nel tempo come cavallerizza e carbonaia, era uno scrigno che attendeva solo di essere aperto. In pochi, tranne gli addetti ai lavori, erano a conoscenza del fatto che l’interno di San Marco in origine era in pratica quasi completamente decorato.

Per farsi un’idea basta fare un salto al Museo Borgogna dove sono custoditi alcuni affreschi che vennero strappati quando l’edificio fu sconsacrato a fine Settecento e fu involontario protagonista delle sventurate vicende già accennate. Tra questi il frammento con i Monaci muratori e tre Scene della vita di Sant’Agostino e Monica, ulteriore prova di quanto fosse ricco l’apparato pittorico di quella che era stata una tra le chiese più belle e ricche di Vercelli, fondata dagli Eremitani di Sant’Agostino nel XIII secolo, ordine monastico molto potente e influente.

L’Albero di Jesse è stato il primo affresco di San Marco a essere svelato nel 2008

Tornando alla Cappella Pettenati, quanto conosciamo della sua storia? Non molto in verità, ma quel poco basta a rimettere insieme i fili della trama che hanno portato alla sua costruzione. A venirci in aiuto è un libro stampato nel 2010 al quale hanno contribuito diversi studiosi: La chiesa di San Marco in Vercelli. A fornire le informazioni più pertinenti al nostro argomento è il capitolo curato da Maria Caterina Perazzo, Aspetti e storia del San Marco di Vercelli tra operosità, oblio e riscoperta. Si tratta di un excursus attraverso le vicende dell’edificio, dalle origini al suo decadimento e quindi alla sua rinascita.

Tutto parte dal 1449 quando Francesco Pettenati aveva fatto edificare un altare dedicato a Sant’Agostino e nel suo testamento aveva espressamente richiesto di essere sepolto lì. Sappiamo anche che, pochi ani dopo le volontà di Francesco, esisteva una cappella posta sotto il titolo di San Nicola da Tolentino, ovvero la nostra. È infatti del 1456 un documento che riporta le spese per la sua costruzione, perciò possiamo tranquillamente datarla poco dopo la metà del secolo.

La storia di questa cappella e delle altre due, quella di Santa Maria Annunziata e quella di San Defendente, è contraddistinta da una lunga serie di lasciti e di donazioni, nonché di sotterfugi e di decisioni prese e poi rimangiate. Un fatto è certo: i membri più influenti della famiglia Pettenati ambivano a essere tumulati nelle loro cappelle in San Marco. Per chi fosse interessato rimandiamo al saggio già citato di Maria Caterina Perazzo.

Intanto, restando nell’ambito della Cappella da poco inaugurata, ci spostiamo al 1529, anno in cui Francesco Pettenati (non quello di prima, ma il figlio di Uberto) lasciava un bel gruzzolo che doveva essere utilizzato per far dipingere i miracoli e la vita di San Nicola, ma a quanto pare i frati non ne fecero nulla o quantomeno non portarono del tutto a termine il compito. Perciò non sappiamo né gli anni precisi né il nome degli artisti chiamati a dipingere la Cappella: questo sarà materia di studio per gli storici dell’arte.

Incoronazione di San Nicola da Tolentino (foto Renato Greppi)

Osservando l’interno della Cappella, dove di sicuro si trovava l’altare, ci troviamo subito di fronte l’affresco che raffigura San Nicola da Tolentino, qui nella sua abituale iconografia: vestito con l’abito nero degli Eremitani di Sant’Agostino nella mano destra tiene la croce e nella sinistra un libro (forse della regola). In alto due coppie di angeli reggono altrettante corone e ancora più sopra il Padre Eterno. Sullo sfondo i fedeli inginocchiati, rappresentati in dimensioni ridotte rispetto al Santo, assistono alla scena. Per tale ragione il dipinto deve essere stato realizzato dopo la metà del XV secolo, quando cioè il linguaggio artistico vercellese, di lì a poco rinnovato dalla lezione gaudenziana, risentiva ancora di certi arcaismi. Purtroppo il volto di San Nicola è irrimediabilmente compromesso, tuttavia bisogna riconoscere l’eccellente restauro che ha riportato a un alto livello di leggibilità un affresco che sembrava ormai perduto.

All’interno della cappella, nel riquadro posto nella parte destra della parete, troviamo un monocromo con tanto di didascalia in latino che raffigura un miracolo di San Nicola il quale aveva riportato in vita un bambino annegato in un canale tra le pale di un mulino a San Ginesio, un paese dei Monti Sibillini in provincia di Macerata dove si pensa che il frate svolse il suo noviziato, come è riportato nella Historia Beati Nicolai de Tolentinoordinis Heremitarum Sancti Augustini, scritta da Pietro da Monterubbiano tra il 1325 e il 1326.

Il miracolo del bambino annegato a San Ginesio (foto Greppi)

In modo simmetrico, quindi nella parte sinistra della parete, un altro monocromo ci fa vedere un altro episodio della vita di San Nicola, in lotta con dei demoni. Ce lo descrive ancora Pietro da Monterubbiano, nel capitolo 3: «volendo entrare nel refettorio dove era dipinta un’immagine del crocifisso sulla porta, fu spinto e gettato a terra da Belial con tanta forza che appena gli rimase il respiro. Tuttavia si fece forza e nel nome del Crocifisso si rialzò; volendo andare a pregare fu colpito e di nuovo piegato a terra. Infine si sforzò di tornare in dietro ma era sbattuto contro ogni angolo che incontrava, con violenza».

La strenua lotta contro le tentazioni e questa sua avventura gli valsero la fama di esorcista. Nella Basilica di Tolentino, all’interno della cappella a lui dedicata, uno dei pannelli della sua vita affrescati da Pietro da Rimini nel XIII secolo mostra proprio Nicola che libera una donna indemoniata.

San Nicola in lotta con i demoni (foto dell’autore)

Passando alle decorazioni, troviamo una serie ricorrente di grottesche, risalenti senz’altro a dopo l’inizio del XVI secolo, giacché questa soluzione decorativa si afferma proprio dopo tale periodo, ovvero dopo la scoperta della Domus Aurea di Nerone alla fine del 1400 e che nel vercellese fu importata da Gaudenzio Ferrari dopo il suo viaggio a Roma. Le grottesche in questione sono sostanzialmente di due tipi: una con motivi vegetali a sfondo rosso e l’altra a candelabra con putti, già più complessa e baroccheggiante.

Sempre nella parte sinistra della Cappella Pettenati, di fianco a San Nicola che si libera dai demoni, la grottesca a sfondo rosso è interrotta da un riquadro in cui una donna a mani giunte si rivolge a due uomini in contemplazione. Non sappiamo verso chi o cosa, ma appurato lo stile e il disegno crediamo che siano senza dubbio anteriori alle grottesche che dunque hanno coperto un apparato pittorico precedente.

Il riquadro che interrompe la grottesca (foto Greppi)

Da non dimenticare infine il soffitto, contraddistinto da una volta a crociera regolare con motivi ornamentali sui costoloni e con un cielo blu lapislazzuli che culmina al centro della volta nell’immagine di un sole, altro elemento frequente dell’iconografia legata a San Nicola da Tolentino, qui recuperato a metà dall’equipe di restauro guidata da Maria Luisa De Toma.

La volta riccamente decorata (foto Greppi)

La Cappella Pettenati, insieme alla mostra di Francesco Messina, potrà essere visitata sabato 26 e domenica 27 marzo durante le Giornate Fai di Primavera dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 18 con turni di visita ogni mezz’ora. Gruppi di massimo dieci persone. A fare da ciceroni i delegati e i volontari del Fai Vercelli, Per prenotare cliccare qui.

Massimiliano Muraro

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2 Commenti

  1. Partendo da ..
    “La chiesa di San Marco in Vercelli”… capitolo curato da Maria Caterina Perazzo, Aspetti e storia del San Marco di Vercelli tra operosità, oblio e riscoperta….
    ..
    e .. Pensando all’Arca, mi sorge un dubbio: non è forse vero che oggi sottraiamo un gioiello della nostra città alla propria più naturale fruizione? .. per ora sono soltanto stati “trafugate” (ma) verso il Borgogna alcune opere forse minori (mi parrebbe) rispetto alle meraviglie qui minuziosamente descritte! e .. .. ..
    a parte il fatto che anche il “mercato coperto” era un gioiello di .. laicità .. eppure vi si traevano già delle sensazioni quasi religiose nell’avvicinarsi, coperti dalle alte volte .. .. a frutta e formaggi (si vedono ancora in giro per la città coloro che furono artefice dei banchetti!) .. era un rifugio e, nelle grigie giornate di pioggia, uno dei “traboules” vercellesi fra i tanti ingiustamente soppressi .. solo per questo varrebbe la pena il recupero a tale impiego. C’è poi una ragione ancora più solida ed indiscutibile per ripristinare tale utilizzo ed è che .. ci andava mia nonna!
    Ma se proprio non se ne vuol sapere di metter l’arte vicina alla frutta senza la presenza, a scopo di protezione, del Caravaggio .. perché non edificare per le “GrandiMostre” un nuovo “Guggenheim” lungo le rive del Sesia (non è presente il Canal Grande) .. SAREBBE pronto, insieme alle teutoniche piste ciclabili che dovrebbero essere ancora in progetto ad abbellimento e godimento del lungo-Sesia (se non se ne son dimenticati…tutti presi come siamo da “più inutili” progetti) .. ?????
    … al posto di Messina metterei, a segnalarne la presenza, un altro cavallo di Marino Marini .. oppure un airone cinerino:
    https://www.turismo.it/italia/poi/collezione-peggy-guggenheim/scheda/venezia/

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