Ieri sera, nel ristorante “Da Ciccio” di Caresanablot, durante una cena offerta dalla Mundi Riso, l’Associazione We Care Onlus di Asti-Casale-Vercelli ha voluto illustrare ad una serie di ospiti, e soprattutto ai benefattori che hanno reso possibile il sogno, la conclusione di un’opera che sembrava irrealizzabile e che oggi invece è realtà grazie soprattutto ad una donazione di 250 mila euro di Carlo Olmo: un blocco con tre sale operatorie nell’ospedale “Papa Giovanni XXIII” di Aber, in Uganda Settentrionale. La We Care, rappresentata dalla presidente Rosalda Binello Ottaviano e dal consigliere Roberto Venturini, ha voluto dire “grazie” proprio al Lupo Bianco e alla Mundi Riso, subito entrata a far parte del progetto per il blocco operatorio al servizio di una popolazione di circa 450 mila abitanti: per il colosso risiero del Gruppo spagnolo “Ebro Food” erano presenti l’amministratore unico Salvador Loring Lasarte e la manager Ivonne Sonia Basile.

E, nel corso della serata, sono stati proprio i vertici di Mundi Riso ad annunciare una nuova e importante iniziativa sempre a favore del progetto di We Care per l’Uganda, che riguarda oltre al potenziamento dell’ospedale di Aber, borse di studio e ulteriori aiuti per gli orfani del Paese e soprattutto per gli orfani sieropositivi: la Camerata Ducale organizzerà proprio per questa causa, a partire dal prossimo ottobre, una serie di concerti della collaudata etichetta “Smile” (con musiche da film molto popolari): un concerto è previsto nella sede della Filarmonica Casalese, uno nell’impianto sportivo di Novarello e altri due in sede ancora da stabilire ad Asti e a Torino. Ieri sera per la Ducale c’erano i due fondatori: la pianista e direttore artistico Cristina Canziani ed il marito, il violinista Guido Rimonda.

Ma torniamo all’ospedale di Aber: su una facciata della struttura, che è stata inaugurata il 19 marzo scorso, compare, accanto alla targa di We Care quella che certifica la donazione di Carlo Olmo alla memoria dei suoi genitori, Paola e Piero.
Siamo quindi ad un punto di arrivo del sogno cullato undici anni fa dal ginecologo vercellese Francesco Coggiola. L’ha ricordato lui stesso ieri sera: “Durante una serata conviviale molto simile alla nostra, qui adesso, vicino a Moncalvo conobbi un sacerdote, oggi purtroppo scomparso, padre Giovanni Scalabrini che, missionario in Uganda, mi raccontò degli enormi problemi soprattutto delle donne che avevano bisogno di assistenza ginecologica in quel Paese dell’Africa, per la precarietà delle strutture sanitarie. Era il 2011, decisi di recarmi subito a vedere l’ospedale di Aber, che mi era stato indicato, e l’anno dopo tornai con un’alacre infermiera della Santa Rita, Tiziana Gioria, e con alcuni colleghi medici tra i quali il chirurgo Gianni Rosso. Incominciammo ad operare, ma le condizioni del blocco operatorio erano davvero proibitive: sporcizia, mosche, un caldo torrido perché l’unica sala operatoria non era ovviamente climatizzata. Da quel giorno sono poi sempre tornato lì due volte all’anno: io eseguivo gli interventi legati ai problemi ginecologici, altri chirurghi che mi accompagnavano, come appunto il dottor Rosso, facevano altre operazioni”.

Anno dopo anno, il dottor Coggiola, oltre ad operare, cercava di apportare migliorie alla struttura del “Papa Giovanni XXIII”. Ma occorrevano soldi, tanti soldi. Su consiglio dello stesso padre Scalabrini, si mise quindi in contatto con la We Care di Asti-Casale-Vercelli. Così il 10 maggio 2019, venne organizzata al risto-disco “Terzo Tempo”, messo a disposizione dal proprietario Alfonso Buonocore (che è pure il titolare di “Da Ciccio”) una cena benefica per la raccolta di fondi per realizzare un nuovo blocco operatorio. Quella sera, anche grazie ad un donatore che offrì 50 mila euro, e alle offerte raccolte, si arrivò una bella cifra, ma ancora assai lontana da quella che sarebbe risultata indispensabile per avviare il progetto. A quella cena, invitato da Rita Francios, per conto del giornale “La Sesia”, prese parte anche Carlo Olmo (non ancora Lupo Bianco) che si prese a cuore la sorte di quelle popolazioni e staccò addirittura un assegno di 250 mila euro: la cifra risolutiva. A distanza di tre anni da quel giorno, nonostante tutti i problemi causati anche dal Covid, quel blocco operatorio è adesso una realtà e c’era anche Coggiola all’inaugurazione del 19 marzo scorso.

”Intervistato” ieri sera dal rappresentante della We Care, Olmo ha detto: “Il bacino d’utenza di quell’ospedale è di 450 mila persone. In fondo la mia offerta, se ci pensate, è consistita in meno di 50 centesimi per persona. Era giusto farla perché in qualche modo io dovevo restituire ai miei genitori adottivi, che erano venuti a prendermi dall’orfanotrofio in cui avevo vissuto i primi sette anni della mia vita, il bene che mi avevano fatto. Quell’offerta è stata tra i primi atti significativi di una riconoscenza che non si è ancora esaurita: ogni volta che, all’estero, ma anche nella mia città, io aiuto le persone, e soprattutto i bambini in difficoltà, penso soprattutto a loro”.
Alla serata di Caresanablot sono intervenute altre persone che operano per la We Care, come ad esempio la dottoressa ugandese Silvia Oteng, per illustrare anche i progetti delle borse di studio istituite nella località di Ngetta (in Uganda l’istruzione non è gratuita ed i bambini poveri non possono permettersela) e di quello che si sta facendo a favore dei veri “ultimi”: i bambini orfani sieropositivi, aiutandoli prima a guarire e poi ad essere instradati verso professioni artigianali, per consentirgli di vivere decorosamente.
EDM
Altre immagini della serata:





