Givone a Gilardino: “Hai individuato il segno del tragico nella vita di Ravello”

 

Vercelli – Durante la presentazione del libro “L’Arco nel buio – Storia del pittore Umberto Ravello”, venerdì scorso alla Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli, Enrico De Maria ha letto un commento che il filosofo e romanziere Sergio Givone, grande amico di Gilardino, gli ha scritto a proposito della sua ultima opera letteraria. Lo riportiamo integralmente.

”Queste poche righe, carissimo Angelo, su Umberto Ravello, pittore della nostra terra, non sono se non una risposta alla domanda che attraversa tutte le pagine da te dedicate a lui e che nasce dallo scrupolo pieno di delicatezza e di empatia con cui ti sei interrogato sulla cifra misteriosa di una vicenda umana e artistica fuori del comune. E la risposta è sí. Sí, hai reso a Ravello giusta testimonianza, sí, hai detto la verità su di lui: sulla sua vita e sulla sua morte. Entrambe nel segno del tragico.

Che cosa significa porre la propria esistenza (e la propria arte, che nel caso di Ravello è indissociabile da quella) nel segno del tragico? Significa vivere per la morte. Così come significa dipingere l’invisibile, rappresentate l’irrappresentabile, fare esperienza di ciò che ci sfugge irrimediabilmente.

Tragico è vivere per la morte. E Ravello ha vissuto per la morte nel modo più vero e autentico proprio in quanto pittore. La sua vocazione era la pittura. Pittura di paesaggio, nel senso più alto. Nel paesaggio Ravello cercava l’anima: ma non l’anima del paesaggio, bensì la sua stessa anima. La cercava senza poterla trovare, perché semmai l’avrebbe trovata nel momento in cui il paesaggio gli si fosse dato come per l’ultima volta, nel momento della morte. E in effetti questo è il paesaggio in Ravello: paesaggio tramontato, paesaggio che è visto con gli occhi di chi muore, o di chi è già morto.

Unicamente prendendo congedo dal paesaggio che gli era famigliare, solo abbandonando il paesaggio che contiene i segreti più intimi, o scorgendo nell’amato paesaggio dell’infanzia l’isola dei morti, la palude stigia, le portae inferi, Ravello ha creduto di poter trovare la sua anima, e trovarsi. Non poteva trovarla, e trovarsi, che morendo. La sua fedeltà a se stesso è ammirevole. Questa, prima ancora della sua arte, e prima ancora della sua vita,  in Ravello è la cosa essenziale. Tu l’hai portata alla luce perfettamente”.

Sergio Givone

 

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