Il Consigliere regionale, e componente dell’ufficio di presidenza del Consiglio regionale, Gabriele Molinari ha annunciato ufficialmente, oggi, di avere lasciato il Partito Democratico.
Troppe e insanabili le divergenze con l’attuale Partito Democratico hanno portato lo stesso Molinari a parlare di “un fallimento su cui non si può far altro che prenderne atto e comportarsi di conseguenza”.
In una intervista al sito Lo Spiffero (leggi qui) Molinari dice: “Me ne vado perché da quando sono iscritto non sono mai riuscito a incidere”.
In una lettera inviata alla segreteria regionale del Pd, in cui Molinari formalizza le sue dimissioni, lui stesso spiega “Il motivo per cui lascio è sintetizzabile in questo: non so nemmeno bene, in fondo, cosa sia diventato quel che lascio, e non lo so ormai da tempo… Credo non abbia senso continuare a provare ad essere organico a qualcosa che in più occasioni mi ha dimostrato di non considerare necessario il contributo mio e di altri come me. So bene che alcune critiche espresse in questi anni alle varie leadership non mi hanno attirato particolari simpatie, ma preferisco aver detto – sempre, e sempre lealmente – quello che penso; anche perché i risultati non mi hanno dato torto, purtroppo”.
Sempre Lo Spiffero, tra le delusioni di Molinari, cita quella sulla legge elettorale regionale “di cui – spiega Molinari nell’intervista – mi era stato chiesto di occuparmi. Settimane, mesi di trattative con i partiti, con i miei colleghi con le varie componenti per poi scoprire che i maggiorenti avevano già deciso e che quella legge non sarebbe mai passata”. Per alcuni anche la candidatura riconfermata dai dem a Maura Forte per la carica di Sindaco di Vercelli avrebbe influito sulle scelte di Molinari.
Lasciando il Pd, Molinari annuncia le dimissioni anche dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale. In Consiglio, Molinari si iscriverà al gruppo misto.
Molinari era approdato al Pd da Scelta Civica, con cui aveva ottenuto un posto nel listino di Sergio Chiamparino alle elezioni regionali del 2014. Aveva aderito al gruppo del Pd nel marzo 2015, nello stesso periodo in cui compiva lo stesso passo in Parlamento uno dei suoi mentori, Gianluca Susta.
Di fronte alle imminenti campagne elettorali che si svolgeranno in Piemonte Molinari ribadisce però che: “Sosterrà in modo convinto Chiamparino e il centrosinistra – afferma – in questo momento storico non sono ammesse diserzioni o distinguo”.
Nella lettera al Pd, infine, Molinari dice che “Nel mio futuro ci sarà ancora politica, e sarà nel solco della mia collocazione di sempre. Sono iscritto da anni al Partito Democratico Europeo, un movimento transnazionale fondato nel 2004 da Francesco Rutelli e François Bayrou, il cui primo presidente onorario fu Romano Prodi” alveo al quale rimarrà iscritto.
Ecco la lettera inviata da Molinari alla segreteria Pd
Al Segretario Regionale del Partito Democratico
Al Capogruppo del Partito Democratico al Consiglio Regionale del Piemonte
Agli Organi di Stampa
Ho aspettato prima di scrivere queste righe, ma l’evolversi delle cose mi impone di non procrastinare una decisione ormai inevitabile.
Lascio il Partito Democratico, lascio il gruppo consiliare regionale, lascio l’ufficio di presidenza nel quale sono stato indicato dal Pd, lascio le questioni del Pd locale. Il motivo per cui lascio è sintetizzabile in questo: non so nemmeno bene, in fondo, cosa sia diventato quel che lascio, e non lo so ormai da tempo.
Nel 2015 sono tornato in un partito che alle precedenti elezioni europee si era impegnato per il rigore dei conti, per il rispetto delle regole europee, per il rafforzamento degli accordi commerciali internazionali, per un vasto programma di riforme che è stato peraltro – almeno in parte – realizzato.
Appena tre anni dopo su molti di questi punti, causa un progressivo calo di consensi, diversi tra questi impegni erano già stati disattesi o smentiti.
So che molti di questi ripensamenti sono dipesi dalla paura di perdere un vasto gradimento popolare che è poi stato, in effetti, dilapidato. Ma è stato dilapidato, a mio parere, per ragioni diverse da quelle che hanno innescato i ripensamenti di cui scrivo: negli ultimi mesi il Pd nazionale non ha tenuto la barra ferma praticamente su nulla, e ora – con la definizione delle opzioni politiche per la nuova segreteria nazionale – diventa anche più evidente il consolidarsi della distanza dalla prospettiva riformista introdotta dal primo Renzi.
Perché se già il secondo Renzi aveva segnato un ritorno al passato (come non pensare alla marcia indietro sui voucher per i lavoratori, o alle timidezze su CETA?), l’idea che un futuro segretario democratico possa stimare la globalizzazione più come fonte di disuguaglianze che di opportunità (Zingaretti) o che persino la nazionalizzazione delle autostrade diventi un’ipotesi “su cui discutere” (Martina) è difficile da accettare per un liberaldemocratico quale resta e resterà il sottoscritto. A ciò aggiungiamo pure che anche sul tema delle autonomie l’atteggiamento del partito “romano” si risolve in una stagnante prudenza, mal tollerabile per chi vive nel cuore della pianura padana: a contatto, cioè, con quei mondi produttivi che solo l’inerzia di una sinistra conservatrice e centralista può ancora consegnare alla Lega di Salvini e alla sua narrazione inconcludente.
Detto questo so bene che il Pd rappresenta e continuerà a rappresentare un pezzo di mondo con cui confrontarsi, ma non posso non considerare l’attuale irrilevanza delle mie posizioni in questa area politica.
Ragion per cui, credo non abbia senso continuare a provare ad essere organico a qualcosa che in più occasioni mi ha dimostrato di non considerare necessario il contributo mio e di altri come me.
So bene che alcune critiche espresse in questi anni alle varie leadership non mi hanno attirato particolari simpatie, ma preferisco aver detto – sempre, e sempre lealmente – quello che penso; anche perché i risultati non mi hanno dato torto, purtroppo.
E quello che penso è in fondo molto semplice, è quello che ho sempre pensato, ed è quello che ha orientato le mie scelte lungo vent’anni di attività politica. Chi legge queste righe ritroverà infatti solo cose già dette, appelli inutilmente caduti nel vuoto, testimonianze già ascoltate.
Rimango colpito da come all’interno di un partito possa evolvere una revisione di opinioni e posizioni tale da ribaltare, a volte – de facto – un intero modo di comprendere ed interpretare la società; e questo, mi permetto, dovrebbe forse far riflettere sul funzionamento dei moderni movimenti politici: che ormai riescono, anche in un minimo lasso di tempo, a dire tutto e poi tutto il suo contrario.
Ma non è questa la sede, non ho intenzione di alimentare polemiche che oggi non avrebbero senso né utilità.
Nel Pd c’è tanta gente che apprezzo, e che considero amica, nel senso più pieno del termine. Il futuro ci vedrà ancora vicini, perché neppure ritengo possibile un’alternativa a questa tremenda stagione politica che non contempli un ruolo e una presenza del Pd; tuttavia ritengo necessario portare le mie idee dove vi sia l’interesse e l’attenzione a considerarle quale contributo critico, reale, e non come foglie di fico strumentali a mascherare una riduzione ideologica peraltro modesta, grigia, comunque priva di una visione delle cose che riesca davvero a convincermi. Una riduzione che qualcuno si ostina ancora a definire “socialismo”, incurante del crollo che il socialismo sta vivendo in un’Europa sempre più chiusa ed ostile: un’Europa che a mio parere ha bisogno di libertà e di democrazia, ma certamente pure di mercato e, sì, anche di autonomia dei territori e di nuove sinergie istituzionali tra essi.
E’ quello di cui parliamo da tanti anni, un progetto ambizioso di sintesi di storie e di percorsi, di ideali e concretezza, di tradizione e modernità: credo sia arrivato il momento di provare a farlo, senza eccessivi calcoli, timidezze e prudenze. Anche perché i calcoli, le timidezze e le prudenze servono solo a garantire una eterna classe dirigente: che purtroppo, a differenza di quel che capita all’estero, non risponde mai dei suoi passi falsi o dei suoi insuccessi.
Chiudo con due brevi e dovute precisazioni.
Nel mio futuro ci sarà ancora politica, e sarà nel solco della mia collocazione di sempre. Sono iscritto da anni al Partito Democratico Europeo, un movimento transnazionale fondato nel 2004 da Francesco Rutelli e François Bayrou, il cui primo presidente onorario fu Romano Prodi. Sono rimasto Democratico Europeo in modo trasparente, malgrado il Pd in Europea fosse appunto affiliato al PSE. Questa casa, che non è venuta meno, nel tempo, ai suoi principi ispiratori, continuerà ad ospitarmi. Anche se è certamente una piccola dimora, trovo in essa quella coerenza agli obiettivi che per me oggi è essenziale, come lo è sentirmi fedele a me stesso.
E’ superfluo aggiungere come in nessun modo questa possa ritenersi una scelta comoda o utile alla mia carriera politica: semmai segna una nuova traversata nel deserto, un ripartire daccapo che tuttavia non mi fa paura, ma al contrario mi stimola.
Quanto alle future scadenze elettorali l’unica cosa certa è che mi impegnerò a sostegno di Sergio Chiamparino in Piemonte, e in favore di un progetto sinceramente e coraggiosamente europeista per quel che riguarda le elezioni continentali. Un progetto che non si esaurisca in una sigla o in uno slogan, ma rivendichi un’idea precisa e non ambigua di Europa e di Unione.
Torino, 19.2.19
Gabriele Molinari





