Si chiama Konstantin Vassiliev, ed è un chitarrista e compositore russo contemporaneo, ha 54 anni, ed è un ammiratore di uno straordinario musicista brasiliano amatissimo nel suo Paese, e scomparso nel 1994 a 67 anni: si chiamava Antonio Carlos Jobim, ma per tutti era Tom Jobim, il mago della bossa nova. A Jobim Vassiliev ha dedicato un “Hommage” che è entrato come un punto cardine nel repertorio di Dimitri Illarionov, il grandissimo chitarrista russo che venerdì sera è venuto ad esibirsi al Dugentesco nel secondo concerto della seconda edizione de “Il legno che canta”, a cura dell’Associazione Culturale Musicale “Angelo Gilardino”, in collaborazione con la Camerata Ducale. Il primo, pure apprezzatissimo, aveva avuto come protagonista il chitarrista ucraino Marko Topchii.
Siamo partiti da questo brano del programma, proposto nella seconda parte del concerto, perché è stato il momento in cui Illarionov ha fatto esplodere il suo enorme talento, catturando il pubblico (c’erano tantissimi, giovani chitarristi, arrivati un po’ da ogni parte del Piemonte, ma anche dalle regioni vicine) che, alla fine, gli hanno riservato un’ovazione.
Illarnionov – che aveva già suonato diciassette anni fa al Civico per il Viotti Festival e, successivamente, anche in San Cristiforo, ha proposto un programma poderoso, in cui hanno trovato spazio anche tre opere di Gilardino: il “Colloquio con Andrés Segovia” e due degli “Studi di Virtuosità e di Trascendenza”, il numero 26, “Trenodia”, e il numero 14, “Mediterranea”, dedicati, come ha ricordato Illarionov prima di eseguirli, a due “grandi amici” presenti in sala, i chitarristi e membri fondatori dell’Associazione Gilardino Luigi Biscaldi e Marco de Santi.
Il chitarrista di Chisinau aveva aperto il concerto con un pezzo di Alexandre Tansman. Eseguendo il Capriccio Diabolico di Mario Castelnuovo-Tedesco, l’indimenticabile mentore del giovane Gilardino, che com’è noto, fu costretto ad emigrare negli Usa (a Beverly-Hills), a causa delle leggi razziali, il concertista russo ha rivolto un affettuoso pensiero alla popolazione di Los Angeles, sconvolta dall’emergenza incendi.

Inutile nascondere che c’era molta attesa per la trascrizione per chitarra, ad opera dello stesso concertista, di un celeberrimo pezzo dei Pink Floyd, “Shine On You Crazy Diamond”; ma, a proposito di trascrizioni di questo genere, tra i bis egli ha suonato anche Sting e chiuso con una propria versione della celeberrima “Knockin’ On Heaven’s Door”di Bob Dylan, colonna sonora del film “Pat Garret & Billy the Kid” di Sam Peckinpah (in cui Dylan è anche attore). Tre i bis proposti: oltre alle riletture di Sting e Dylan, il travolgente “Tango en Skai” del chitarrista francese Roland Dyens.
Prima, Illarionov aveva fatto spegnere tutte le luci del Dugentesco per suonare a lume di candela la Ciaccona di Bach. A nostro avviso, il chitarrista russo, che suona tenendo davanti a sé un minuscolo portafortuna, un gattino in ceramica, si sta ormai decisamente specializzando nel repertorio della seconda parte del concerto di venerdì (Ciaccona a parte), quella delle trascrizioni di brani molto conosciuti e delle musiche contemporanee che gli vengono dedicate, un po’ accantonando il chitarrismo, classico. Una scelta che asseconda il suo sensazionale virtuosismo, che ha pochi eguali al mondo. Alla fine del concerto, per molti minuti, il Dugentesco ancora vibrava di applausi.

Il giorno dopo, sabato, Illarianiov ha poi tenuto la sua master class, affollata anche di giovani uditori dal Conservatorio “Cantelli” di Novara, alla Scuola musicale “Vallotti”.
Prossimo concerto del “Legno che canta 2” sabato 8 febbraio al Museo Borgogna, stavolta in collaborazione con la Società del Quartetto. Di scena il trentenne chitarrista francese Thibaut Garcia, un altro “drago”.





