Duomo gremito per l’addio a Dabbene: “Ha cambiato in meglio la vita della gente”

Padre Nunzio ricorda l’amico Gianni in Duomo

 

Vercelli – Una folla di amici, colleghi ed ex allievi  ha dato l’addio oggi, in Duomo, a Gianni Dabbene, il notissimo dirigente scolastico vercellese scomparso a 71 anni, dopo una breve malattia. In tanti si sono stretti intorno al figlio Marco Aurelio e alla sorella Rina e hanno mandato un saluto affettuoso alla figlia Novella.

In particolare modo, sono state apprezzate le parole di tutti coloro che lo hanno ricordato: don Fabio Negri, nell’omelia e, al termine del rito funebre, il suo vecchio parroco dell’Isola padre Nunzio De Agostini, la sua amica fraterna Lorenzina Spada e il giornalista Enrico De Maria.

Celebrando in sostituzione del parroco, don Giuseppe Cavallone (che è a Lourdes e che ha fatto sapere di dedicare un pensiero speciale dalla Grotta a Gianni e ai suoi figli), don Fabio  ha ricordato le grandi qualità di Dabbene, come protagonista della scuola, come padre, come uomo di cultura.

Poi è toccato a padre Nunzio. L’anziano sacerdote, molto provato dalla notizia, ha ricordato il suo arrivo, più di cinquant’anni fa, alla parrocchia dell’Isola: “Mi accolsero bene tutti, e si fermavano in tanti a parlarmi, tranne quel bel ragazzo, che salutava educatamente, ma che non si fermava. Decisi di fermarlo io: ‘Hai sempre uno sguardo triste, perché?”, gli domandai. Ed egli mi rispose di non essere soddisfatto della scuola che stava frequentando, che era una scuola tecnica, e che lui preferiva la letteratura, la filosofia. Era prossimo alla maturità. Allora gli proposi di mollare tutto, di cambiare la scuola e di dare poi l’esame da privatista per  il diploma che avrebbe voluto lui. Venne a parlarmi mamma Rosa preoccupata: ‘Ce la farà, padre?’. La rassicurai. Credevo in quel ragazzo. Non solo ce la fece, uscì tra i migliori e risultò poi sempre tra i primi in tutti i concorsi, per l’insegnamento e per il ruolo di direttore didattico”.

Gianni Dabbene aveva 71 anni

Padre Nunzio ha aggiunto che per tutta la vita, anche quando se ne andò in Brasile (mentre lui intanto era stato mandato ad Arezzo), Gianni Dabbene gli ha scritto almeno due volte al mese. Quindi ha parlato con grande affetto dei figli Novella e Marco Aurelio, raccontando, su quest’ultimo, un episodio toccante. “Gianni – ha detto – mi diede la terribile notizia della morte della moglie in Brasile. Io gli dissi di tornare non appena possibile nella sua Vercelli, dove lui e Marco Aurelio, con Novella, avrebbero ritrovato le persone più care, e tantissimi amici, soprattutto quelli dell’Isola. Incontrai, Gianni e il figlio, che era poco più che un bambino, a Magenta, dove ero stato destinato dopo Arezzo. Mi disse della morte della mamma. Allora io lo abbracciai, lo portai vicino ad una statua della Madonna e gli dissi: ‘Questa è la mamma di tutti noi, soprattutto dei bambini che non hanno più la loro mamma su questa terra’. Ricordò quella frase quando, poco tempo dopo, gli diedi la Prima Comunione”.

Lorenzina Spada (la donna che lo ha vegliato la notte in cui è spirato all’ospedale) ha ricordato invece – con grande commozione -l’infanzia comune: vicini di pianerottolo, al quarto piano delle case popolari dell’Isola. “Le nostre famiglie – ha detto – si sono subito rispettate. E poi, quanti giochi insieme, anche se ci separavano le ‘convenzioni’ di allora: ad esempio voi maschi potevate andare a fare il bagno nella Sesia, noi no. Ma tante cose ci hanno legati in modo straordinario, caro e indimenticabile amico: ad esempio la nascita del mio Davide, più o meno negli stessi giorni in cui nacque la tua Novella. Poi sei andato il Brasile, ma la lontananza era solo ‘logistica’, perché l’amicizia, l’affetto ti facevano sentire sempre vicino, e ricordo ancora la gioia che abbiamo provato tutti noi isolani quando ci hai fatto conoscere Marco Aurelio: l’abbiamo subito amato, come amammo subito Novella”.

Enrico De Maria ha esplorato invece l’irripetibile carriera scolastica di Dabbene. E ha ricordato i direttori didattici vercellesi usciti dal concorso che, nella metà degli Anni Settanta, era stato promosso dall’allora provveditore agli Studi vercellese, il dottor Provenziale. Ha detto il giornalista: “Lo vinsero lui e un gruppo di eterni, solidi amici: Fiore Marrone, Luciano Bianco e Giorgio Giordano. Quattro mesi fa, quando Giorgio morì, chiamai Gianni e gli chiesi un commento: e lui, che trovava sempre, per usare una citazione, ‘le parole per dirlo’  non riuscì quel giorno a spiaccicare  parola, tanto il dolore lo aveva annichilito. Quella ’petite bande’ di direttori didattici, giovani ed entusiasti cambiò,  e in meglio, la scuola vercellese”.

E poi, De Maria ha ricordato come, soprattutto, Dabbene cambiò, ma letteralmente, la vita a migliaia di giovani figli di immigrati italiani in Brasile, costruendo praticamente dal nulla – su incarico della Farnesina – i corsi di lingua e letteratura italiana a loro riservati nel grande Paese sudamericano.

Infine, l’amico giornalista ha parlato del tratto peculiare di Dabbene: la bontà che si esprimeva anche tramite l’eterno sorriso “che neanche la morte è riuscita a cancellare”.

Tra i tantissimi presenti in Duomo, uno stuolo di “isolani”, docenti, presidi, ex allievi, amici dello scomparso e di Marco Aurelio, nonché di tifosi della Pro Vercelli: uno dei grandi amori di Dabbene.

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