“Care suore del Sant’Eusebio, siete un tesoro inestimabile di misericordia e dolcezza”

 

Amatissime a Vercelli, le suore Figlie di Sant’Eusebio hanno celebrato di recente il 125° anniversario di fondazione della loro Congregazione che quest’anno coincideva anche con il 65° anniversario della presa in possesso della Congregazione, come cardinale protettore, dell’allora arcivescovo di Milano e, successivamente Papa (Paolo VI), monsignor Giovanni Battista Montini.

Al doppio evento, il 2 ottobre scorso, abbiamo dedicato un ampio servizio. Ed ora ci ha mandato un documentatissimo articolo su questo argomento lo scrittore ed esponente della Polizia locale Pierluigi Lamolea  che volentieri pubblichiamo per l’affetto e la competenza con cui egli tratta le suore dell’Istituto di via Gattinara di Zubiena, che da sempre assistono e tutelano le persone anziane e ammalate.

“Già da adolescente, quand’anche sono stato chierichetto, tra le omelie di alcuni parroci una parola in particolare rimbombava nelle mie orecchie come una litania: misericordia.

Più da adulto, poi, sentivo il desiderio di ascoltare le maieutiche omelie di un parroco vercellese, ora tornato alla Casa del Padre, che riuscivano a trasmettere emozioni inenarrabili, sempre con il fine dell’azione misericordiosa. Non riuscivo però a coglierne il senso del significato: il dubbio era come potesse manifestarsi in maniera tangibile, come potesse attecchire il seme e come potesse crescere realmente il frutto della misericordia.

Pierluigi Lamolea

A Vercelli, praticamente in centro città, esiste un tesoro che ho scoperto nel mio cammino di vita familiare. È il Vangelo e precisamente Matteo (13, 44-52) a declamare che Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo.

125 anni fa un casuale e fruttuoso incontro tra un prete e una suora seminò un piccolo granello del seme il cui fiore sbocciò con la nascita della Congregazione delle Figlie di Sant’Eusebio. Due giovani, padre Dario Bognetti, vice parroco a Confienza – nella vicina Lomellina – e madre Eusebia Arrigoni, appartenente a un ordine che poi si sciolse, unirono il principio attivo del seme per trasformare in realtà il desiderio di andare incontro ai problemi della comunità, aprendo le porte di una casa che potesse accogliere le persone più bisognose, considerate scarti della società: orfani, poveri, anziani e disabili. I due visionari curarono a Vercelli la crescita del seme – luogo in cui ancora non esisteva un’istituzione assistenziale – dapprima in alcune stanze di un edificio in corso Palestro e dappoi, dal 29 marzo 1899, insieme ad altre suore provenienti da Milano, nacque l’Istituto di Sant’Eusebio, il cui nome è legato non solo ai meriti devozionali, ma anche al ricordo del santo che nel IV secolo istituì un cenobio di vita comune per le consacrate.

La genesi dello spirito delle silenti ma operose suore Figlie di Sant’Eusebio era (ed è) di aiutare senza conoscere, nel solco di quanto già accedeva al Santo Giuseppe Cottolengo: le suore non sapevano chi avrebbero assistito, non era necessario saperlo. Un approccio che l’attuale Papa Francesco probabilmente definirebbe da ospedale da campo.

Molteplici furono le difficoltà iniziali non solo per la diffidenza dei Vercellesi ma anche per il rallentamento dovuto all’osservazione minuziosa a opera dell’arcivescovo del tempo, mons. Teodoro Valfrè dei conti di Bonzo, che in ascolto di non buoni consiglieri che seminavano chiacchiericcio dispose un’inchiesta che non riscontrò nessuna oscurità sul governo dell’istituto. Del resto è sempre il Vangelo a ricordare che In mezzo al grano si semina zizzania (Matteo 13, 24-30).

A seguire Papa Pio XII, nel 1950, emise il Decretum Laudis, che ufficializzò la trasformazione da istituto di diritto diocesano a istituto di diritto pontificio. Il seme continuò a crescere e a produrre i frutti e da fine anno 1954 l’Istituto si trova in via Rodolfo Gattinara di Zubiena. L’edificio fu costruito a opera di un ingegnoso architetto lombardo con una fisionomia armonica che lui stesso definì con l’espressione Lì dentro si deve stare bene. Il complesso si estende su circa 10 mila metri quadri dispone di sei reparti e accoglie oltre 100 ospiti, oltre a una cappella e alla Chiesa madre.

Insieme con le iperattive religiose, all’interno della struttura partecipano alla vita quotidiana il personale sanitario, infermieristico e medico, con determinata collaborazione.

Pulizia, ordine, poesia negli ambienti restano i principi fondamentali immodificabili dei giovani demiurghi religiosi ispiratori che rendono leggera ancora oggi l’aria che si respira quando si varca il cancello d’ingresso.

Nel preambolo ho definito questo luogo un tesoro perché ho realizzato cosa sia l’animo della misericordia. È l’amore che si propaga con la naturale dolcezza delle religiose nei confronti degli ospiti, insieme all’esemplare professionalità e sensibilità della quasi totalità delle operatrici socio- sanitarie. Non meno degno di rilievo sono i sorrisi sia degli ospiti tra di loro – che hanno un buon grado di socializzazione – sia soprattutto del personale religioso e di quello laico.

Merita una riflessione il momento del saluto. Come succede quando si è in montagna, per una storica consuetudine, anche all’interno dell’Istituto chiunque saluta quando incontra qualcuno. Non ci si è mai visti ma si saluta, si sorride e magari si scambia una battuta. Una finestra di socialità ormai difficile da rilevare: ogni saluto è un raggio che irradia in un luogo in cui regna la semplicità delle cose ma soprattutto una forma di libertà difficile da riscontrare comunemente. Il saluto, che viene naturale pronunciare varcato quel cancello, è un calcio alla diffidenza e alla differenza perché all’Istituto Sant’Eusebio si ha la percezione di essere tutti uguali. Esattamente come le parole dipinte all’interno della Chiesa madre “Posui vos eatis et fructumafferatis et fructus vester maneat” (Vi ho comandato di andare e portare frutto, e il vostro frutto rimanga) che penetrano in tanti cuori in cui non batte l’alienazione religiosa.

Terminerei con l’esclamazione storica (assai colorita) di Papa Benedetto XIV noto per il suo linguaggio decisamente schietto e passionale, che di fronte a queste profonde emozioni l’avrebbe probabilmente pronunciata. Non la posso scrivere, ma l’ho pensata. Viva la misericordia, viva la dolcezza e onori all’Istituto Suore Figlie di Sant’Eusebio di Vercelli”.

Pierluigi Lamolea

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