Riceviamo e pubblichiamo:
L’Anpi sezione di Vercelli piange la scomparsa di Elda Cavigiolo, una delle ultime donne vercellesi protagoniste della lotta di Liberazione. Quella di Elda è storia di Resistenza al femminile, che mantiene il carattere della discrezione anche nel ricordo. Elda è sempre stata schiva nel parlare della sua militanza. Poco più che ragazzina, si è avviata all’antifascismo con una certa incoscienza, ma indubbiamente per un innato rifiuto del sopruso, infatti finisce in questura più volte per la sua tendenza a rimbeccare i camerati quando per strada redarguivano con protervia cittadini che non si mostravano ligi agli ossequi al regime. In seguito ad uno di questi episodi, Elda viene licenziata dallo spaccio della Chatillon dove lavorava come commessa. Nel’41 Elda è disoccupata e un vicino di casa le offre un’occupazione di dattilografa. Elda accetta e si trova così a lavorare per l’organizzazione comunista clandestina, che lotta contro il regime. Le danno una macchina da scrivere e un ciclostile, per allestire in casa un centro stampa La prudenza suggerisce poi di trasferire il ciclostile al rione Isola: nel caso di una perquisizione sarebbe difficile nasconderlo e tanto meno giustificarne l’uso. Elda lavora in casa, a due passi dalla sede della Gioventù Italiana del Littorio e dalla Casa del fascio. Il rione è un andirivieni di fascisti e quel continuo ticchettio della macchina da scrivere potrebbe insospettire qualcuno e indurlo a sporgere denuncia. Per questo la madre di Elda è sempre vigile, attenta a scrutare chi si aggira nei dintorni. Elda si trova anche a portare nelle buche delle lettere della città dei volantini contro la guerra di Hitler e di Mussolini.All’occorrenza l’organizzazione le affida anche servizi che esulano dal suo lavoro di dattilografa. Dopo l’armistizio, in una Vercelli occupata dai nazifascisti la mandano a consegnare del materiale a Guido Sola Titetto, ospite in una casa segreta in città. L’uomo ha vissuto undici anni di carcere duro per la sua militanza antifascista clandestina ed è tornato libero nel 1938 per le sue precarie condizioni di salute. Sola Titetto, che vive ancora in clandestinità ed è un uomo chiave della Resistenza e della federazione comunista vercellese, le si presenta girato di spalle, con un cappello in testa. Non si volta e le dice di lasciare lì il materiale. Elda saluta ed esce, mentre Sola commenta- E l’organizzazione si fida di una ragazzetta? Con altre donne Elda si occupa anche della raccolta di indumenti per i partigiani di Primula, indumenti usati, spesso rattoppati, ma tutto va bene per i ribelli della Serra: maglie e calze rammendate, vecchi scarponi che si prestino ancora all’uso. A pochi giorni dalla Liberazione, l’organizzazione comunista clandestina chiede a Elda di compiere una missione a Torino. Elda prende il treno e al suo arrivo consegna del materiale che le è stato affidato ad una persona sconosciuta che l’attende. Per l’interruzione della linea ferroviaria Milano-Torino è però costretta a tornare a Vercelli su un camioncino di fortuna, sul quale con altra gente sale un soldato repubblichino sbandato e fuori di sé, che in preda al terrore imbraccia il fucile per difendersi da un’eventuale imboscata partigiana.
Elda dopo la liberazione sarà sempre restia a parlare della sua Resistenza, trincerandosi dietro a queste poche parole – Ma sì, erano cose che abbiamo fatto perché bisognava farle!
Alla vigilia di Natale del ’46 Elda sposa Guido Sola Titetto, che era stato nominato dal Comitato di Liberazione Nazionale Sindaco di Vercelli, il primo sindaco della città liberata. Dalla loro unione nasce Franca. Elda segue il marito nei suoi spostamenti dovuti all’attività politica, prima a Biella e poi a Roma. Nella capitale viene a contatto con ambienti intellettuali dove passano personalità di cultura anche straniere di fede comunista, fino alla morte di Sola nel luglio del 1957. Vedova, con una bambina di dieci anni affidata alle cure amorevoli dei nonni, Elda, che ora ha una solida formazione politica, viene inviata dal Partito comunista a svolgere la sua attività prima a Benevento e poi a Cassino, dove ritrova un giovane funzionario del Partito, il biellese Argante Bocchio, che con il nome di battaglia Massimo è stato comandante partigiano e negli anni del dopoguerra caratterizzati da una certa politica anti-partigiana ha vissuto esule nei paesi dell’Est. Massimo prima dell’esilio aveva lavorato con lei nella federazione comunista vercellese e al suo rientro in Italia si erano rivisti di sfuggita in un’assemblea commemorativa della figura di Sola Titetto. Dopo l’incontro di Cassino e la loro frequentazione negli ambienti di partito, Elda e Massimo diventeranno compagni di vita e si stabiliranno definitivamente a Novara, dove Elda pochi giorni fa ci ha lasciati consegnandoci un pezzo di memoria storica.ù
SANDRA RANGHINO – COMITATO ANPI VERCELLI