Un giorno al Giro d’Italia

Parli di Cesenatico e ti viene subito in mente il mare della Romagna, sorvegliato da quegli stabilimenti che disegnano il litorale adriatico e che ti sembrano tutti uguali. Ma se dici Cesenatico non puoi non pensare a Marco Pantani e, di rimando, alla bicicletta che qui è diventata una parte integrante del modo di vivere romagnolo, ruspante e godereccio, quello in cui una stretta di mano vale mille volte di più che un contratto messo nero su bianco.

In Romagna sono dei maestri nel coccolare il turista, qui ci hanno creato una vera e propria industria, costruendo un sistema in grado di accogliere l’ospite e farlo sentire davvero in vacanza. Da qualche anno la padrona di casa da queste parti è la bicicletta. Gli operatori turistici ci puntano da più di dieci anni e continuano a potenziare un’offerta già di per sé molto attraente.

La tipologia del Bike Hotel sta prendendo sempre più piede. A fare da apripista e da scuola è senz’altro il Lungomare Bike Hotel a Cesenatico, a pochi metri dal confine con Gatteo a Mare, gestito con puntiglio e competenza professionale da Silvia Pasolini. Chi vuole godersi la Romagna in tutte le sue sfaccettature, se prenota al Lungomare va sul sicuro: bike room, noleggio bici, giri adatti a tutte le gambe, area relax, spa, cibo buono, sano e nutriente.

Proprio al Lungomare sono stato ospitato giovedì 15, giorno della tappa di Cesenatico, quella che ricalcava il percorso della Nove Colli. Ogni anno per la regina delle granfondo si danno appuntamento tredicimila ciclisti, pronti a sfidarsi sui due tracciati: quello da 130 km e l’originale da 205 km e 3.800 metri di dislivello su e già per le colline romagnole e marchigiane.

A farmi conoscere la realtà di Terrabici, Andrea Manusia dell’APT Emilia Romagna, uno che, insieme al suo presidente Davide Cassani, sta lavorando in modo eccellente sul territorio. È lui che porta in giro i giornalisti di tutto il mondo per mostrargli la bellezza e la storia di quei luoghi. Il suo «Hi guys, welcome in Emilia Romagna» è quasi diventato uno slogan.

Vivere un giorno immersi nella realtà del Giro è come essere catapultati in un altro mondo. Arrivo la sera prima della tappa e subito capisco di alloggiare nello stesso hotel della Sunweb, il team di Wilko Kelderman, l’olandese a oggi grande favorito per la vittoria finale. Mi colpisce lo spiegamento di mezzi al seguito di una squadra pro. Lo immaginavo, ma non di questa portata.

Due pullman, uno fornito di tutte le comodità per i corridori, l’altro con le lavatrici e lo spazio per caricare gli effetti personali. Tra le altre cose scopro che ognuno ha il suo materasso, il suo cuscino e le sue lenzuola; il camion per i meccanici con tutti i ferri del mestiere; infine le ammiraglie che seguono la corsa e che, soprattutto, caricano le biciclette di riserva (personalizzate anche queste): un parco mezzi che solo a fare un calcolo del loro valore inizia a girare la testa.

A cena i corridori mangiano in una sala a parte, vuoi per la concentrazione, vuoi per la bolla imposta dalle normative anti Covid-19. Il giorno prima la Jumbo e la Mitchelton si sono ritirate e, come non bastasse, il velocista della Sunweb Michael Mattews è risultato positivo al tampone ed è tornato a casa. La stessa Sunweb ha pensato se abbandonare, ma poi ha deciso di andare avanti: sanno che il loro Wilco ce la può fare a prendersi la maglia rosa.

Il mattino dopo l’appuntamento è sul lungomare. Da lì partiamo con la guida Andrea Pazzaglia per un giro di 90 km in cui vedremo passare la corsa in ben due punti. Con noi ci sono due tedeschi, uno con la maglietta estiva nonostante il freddo pungente, e un blogger altoatesino che vive a Vienna. Si è fatto quindici Oetztaler Radmarathon e svariati Iron Man. Pedala su una bici in legno fatta apposta su misura, che mi dice essere molto comoda.

Passiamo da Cesena e lì Andrea mi indica il luogo dove Roberto Benigni ha girato la famosa scena delle banane in Johnny Stecchino. Il perché è presto detto: sua moglie Nicoletta Braschi è originaria della città. Naturalmente tutto è uguale come al tempo del film: condominio, negozio e insegne. Proseguiamo e ci dirigiamo in direzione Polenta. È la prima salita della Nove Colli, quella dove di solito si crea il tappo per i troppi ciclisti che sono costretti a scendere dalla sella e spingere la bici a mano.

Ci posizioniamo sullo strappo al 15% perché così si vedono meglio i corridori. Ci sono tante persone che, nonostante i racconti intrisi di menefreghismo che si leggono, indossano tutti la mascherina e se ne stanno ben distanziati. Dietro un cancello tutto addobbato di palloncini rosa una signora aspetta pure lei. Il marito sembra meno interessato, c’è da vendemmiare l’ultima uva che servirà per il Sangiovese. Prima il dovere, poi il piacere, ma i romagnoli trovano il tempo per tutti e due.

Si ferma l’ammiraglia della Trek, la squadra di Vincenzo Nibali, e tutti si fiondano a fotografare le bici (ho fatto una stima: 80.000 € più o meno). Inizia a piovere e inizia a scendere pure la temperatura: siamo a 8 gradi e il tedesco in maniche corte, bontà sua, si copre con una mantellina. Mezz’ora di attesa poi arriva la macchina di Radio Corsa, seguita da quella del direttore. C’è una fuga di una ventina di uomini che vanno su di buona lena, ma non sembrano spingere al massimo. Dietro, a tre minuti, il gruppo con la maglia rosa Almeida e tutti gli altri: Nibali, Sagan, Demare. Si fa fatica a conoscerli lì in mezzo, ma si applaude e si grida il loro nome.

Ripartiamo, la discesa è tremenda con le mani che iniziano a gelare. Per fortuna ho i freni a disco a salvarmi. In fondo, scherzo del destino, si apre il cielo e il sole fa presto ad asciugarci. Andrea ci porta alla fine di Pieve di Rivoschio. La fuga ha guadagnato qualche minuto, ma non più. Capisco che, viste le condizioni climatiche, il gruppo ha deciso di andare al risparmio. Il Giro è lungo, ci sono ancora le Alpi (sempre che le faranno, salire a oltre 2.000 metri di questo periodo non è uno scherzo), perciò perché rischiare?

Rientriamo in hotel per farci la doccia e goderci l’arrivo. Io sono tentato di andare sulla linea del traguardo, ma ho qualche titubanza: con le normative anti Covid-19 riuscirò a vedere qualcosa? In più inizia a diluviare. Allora mi guardo il finale di tappa in una sala dell’hotel, davanti a una birra ristoratrice.

Saggia decisione, perché dopo qualche minuto entra Paolo Salvodelli, vincitore di due Giri d’Italia. Mezz’ora in compagnia del Falco, che è uno alla buona. Non mi parla mai delle sue vittorie, di quando correva, ma mi parla tanto di quello che fa ora, del fatto che vincerà Narvaez perché Padun non ne ha più (infatti andrà così), ma soprattutto mi parla e tanto di Marco Pantani.

Già, Marco Pantani. Ci sarebbe molto da dire su di lui, di quel che è stato e di quello che ha rappresentato per lo sport. Qui in Romagna Pantani è come se fosse ancora vivo. E se parli con chiunque non lo chiamerà Pantani, solo Marco. Quel Marco che usciva per un giro da 50 km senza nulla da mangiare e da bere, che poi si ritrovava a farne 200 ed era costretto a fermarsi in qualche bar: «Non ho niente con me, passo domani a pagare», «Non preoccuparti Marco, vai sereno, tu pensa solo a correre».

Pantani difendeva Cesenatico e Cesenatico difendeva Pantani: erano una cosa sola. Lì ha iniziato a dare i suoi primi colpi di pedale, lì aveva gli affetti più cari, prima tra tutti la mamma Tonina che lo ha cresciuto a suon di carezze e piadine. Savoldelli mi racconta e mi conferma tutto ciò che su Marco avevo già letto, incluso il suo ultimo anno, quello più buio in cui allontanava bruscamente chi gli voleva bene, quasi a proteggerlo. Io stesso, pur non avendolo mai conosciuto di persona, voglio bene a Marco Pantani. Ogni anno che vengo a Cesenatico per la Nove Colli faccio sempre visita al suo Spazio, un museo dove sono conservati tutti i suoi cimeli.

Solo una cosa non sono mai riuscito a fare: andare a trovarlo al cimitero. Forse perché così avrei la prova definitiva che lui non c’è più per davvero. Allora preferisco pensarlo per sempre in maglia rosa dentro quella biglia gigantesca che si vede in autostrada davanti a quella che fu la sede della Mercatone Uno. Quella che quando passo davanti mi batto sempre la mano sul cuore.

Massimiliano Muraro

 

 

 

Love
Haha
Wow
Sad
Angry

1 commento

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here