Tre cerimonie a San Giacomo, Vercelli e in Sardegna per ricordare il sacrificio dell’appuntato Vinci

Sono passati 36 anni, ma Vercelli nessuno ha dimenticato il sacrificio dell’appuntato del Reparto investigativo (allora guidato dal maresciallo Cesare Gallo) dei carabinieri di Vercelli Salvatore Vinci ucciso, a 36 anni da un bandito, dopo una rapina ad un furgone postale portavalori. Purtroppo quel bandito era un altro carabiniere che Vinci conosceva bene, Maurizio Incaudo, carabiniere che aveva prestato servizio, come Vinci, nella caserma di Vercelli. E, complici di Incaudo, un altro carabiniere, Alessandro Chieppa (a quell’epoca a Varallo, con Incaudo) ed un ex  poliziotto, Gerardo Mocciola. Pazzesco, tre appartenenti alle forze dell’ordine che in realtà erano banditi: i prodromi della Uno Bianca.

Salvatore Vinci aveva 36 anni

C’era un’auto bianca anche quella maledetta mattina. Una golf. L’aveva rubata Mocciola, qualche giorno prima, a Torino. Da tempo, Incaudo non parlava d’altro, a Varallo, con Chieppa e Mocciola. Talvolta, quando era in servizio a Vercelli, gli era stata affidata la scorta ai “Ducati” postali che portavano soldi e valori negli uffici periferici lungo la strada che conduce alla Valsesia. “Assaltiamo un furgone – diceva agli amici -, sopra ci sono miliardi. Ci cambieranno la vita”.

Quel giorno avevano programmato tutto. Incaudo si era fatto indicare con precisione, da una dipendente postale, gli orari delle varie tappe del furgone, e poi la Golf rubata a Torino era stata parcheggiata, la sera prima, lungo il canale Cavour, vicino a Greggio. Nella prima mattinata del 28 gennaio1989, i tre banditi erano partiti da Varallo a bordo dello loro auto, una Peugeot (Chieppa e Mocciola) e un Toyota fuoristrada (Incaudo), avevano raggiunto la Golf e ci erano saliti a bordo, con armi, tra cui un fucile a pompa, e passamontagna, lasciando lì le loro vetture.

 Nei pressi di Albano, in una mattinata nebbiosa, avevano atteso il passaggio del furgone e dell’auto di scorta e, affiancando la vettura dei carabinieri, avevano sparato alle ruote, facendola finire fuori strada; poi avevano raggiunto il furgone, poco prima di Arborio, e, sparando in aria, avevano costretto i dipendenti delle Poste a fermarsi. Sotto, la minaccia delle armi, li avevano fatti salire sulla Golf e Mocciola si era messo alla Guida del Ducati. Giunti nel luogo dove avevano lasciato la Peugeot ed il Toyota, avevano svuotato uno dei sacchi del furgone (non c’erano miliardi, ma poco più di un centinaio di milioni), e se n’erano andati lasciando legati i dipendenti postali.

L’omaggio della vice prefetto vicaria

L’intenzione era di ritornare nell’appartamento di Varallo, ma lungo la strada, nei pressi di San Giacomo Vercellese, erano stati intercettati dalla “Regata” del Reparto operativo, che Incaudo conosceva bene, su cui c’erano due uomini di punta della squadra del maresciallo Gallo: il maresciallo Antonio Scino e, appunto, l’appuntato Salvatore Vinci. Scino si era avvicinato alla Peugeot, su cui c’erano Chieppa e Mocciola, e Vinci alla Toyota. Tutti e tre i banditi erano armati, Incaudo, sul Toyota, aveva addirittura il fucile a pompa. 

Vinci aveva subito riconosciuto Incaudo: “Che cosa fai qui”. Nello stesso istante, Scino, aveva notato che Chieppa aveva del sangue sulle mani, si era infatti tagliato aprendo il sacco con i soldi. A quel punto, il maresciallo dell’Arma ha alzato la voce e Mocciola, balzando dall’auto, lo ha spinto a terra;  in quell’attimo preciso, sparando tre volte con l’arma che aveva in tasca nel giubbotto, Incaudo ha colpito Vinci al fianco; l’appuntato ha tentato di reagire sparando a sua volta, ma ormai le forze lo stavano abbandonando e Scino non poteva aiutarlo perché era sotto fuoco da parte degli altri due. Così Incaudo ha preso il fucile e ha ucciso Vinci.

Poi i tre si sono messi all’inseguimento di Scino che è stato salvato dall’arrivo di uno scuolabus. I malviventi sono scappati dirigendosi verso un capannone militare abbandonato nella Baraggia, mentre scattava la più imponente caccia all’uomo mai avvenuta a Vercelli, con ben trecento uomini impiegati.

Intanto, sconvolto per aver ucciso Vinci, Incaudo si suicidava con un colpo di pistola, mente Chieppa e Mocciola venivano arrestati nei pressi di un bar di Roasio Curavecchia, dove erano stati riconosciuti e segnalati dagli avventori. Processati, sono stati condannati, rispettivamente, a trenta e vent’anni di carcere, hanno scontato gran parte della pena. Una volta uscito dal carcere, Mocciola ci è rientrato nel 2019 perché  coinvolto negli arresti di alcuni ultrà della Juve che avevano ricattato la dirigenza bianconera.

L’intervento del colonnello Burri

Nella mattinata di oggi, a San Giacomo Vercellese e a Vercelli, si sono svolte due cerimonie alla memoria di Vinci, e l’eroico appuntato (medaglia d’oro al valor civile) è stato contemporaneamente ricordato in una terza cerimonia nel comune di Bidonì, in provincia di Oristano, suo paese di origine. In piazza Amedeo IX, davanti alla targa dedicata a Vinci, di fianco al Monumento al Carabiniere di Guido De Bianchi, c’erano tra gli altri il sindaco Roberto Scheda (davvero commosso perché aveva conosciuto bene l’appuntato Vinci), la vice prefetto vicaria Cristina Lanini, il presidente del Consiglio comunale Romano Lavarino (tra l’altro già luogotenente dell’Arma) con il suo vice Gianni Marino, il vice presidente della Provincia Alessandro Montella, il sostituto procuratore Maria Giovanna Compare, il questore Giuseppina Suma, il comandante provinciale della Guardia di Finanza colonnello Ciro Natale e, ovviamente, il comandante provinciale dell’Arma, colonnello Pier Enrico Burri, con una consistente rappresentanza del Comando della “Ganu Gadu”, tra cui il comandante della Stazione di Vercelli, luogotenente Pasqualino Putzolu. Erano presenti anche carabinieri in alta uniforme e c’era un notevole rappresentanza dell’Associazione nazionale carabinieri (i militari in congedo), con il coordinatore provinciale Vincenzo Poy e il presidente della sezione di Vercelli, Salvatore Trapani, e con Enrico Gallo, figlio dell’indimenticabile superiore dell’appuntato Vinci. Presenti anche alcuni carabinieri in congedo che erano in servizio negli anni dell’appuntato Vinci.

La benedizione

Toccanti le parole del colonnello Burri che ha sottolineato di essere entrato nell’Arma proprio nel periodo in cui Salvatore Vinci operava a Vercelli, di non averlo ovviamente conosciuto di persona, ma di essere sempre rimasto colpito dalla sua fotografia, che ricordava da vicino quella che si era fatto fare lui al momento di scegliere la sua missione. Si è quindi rivisto in quell’uomo nobile, padre di una ragazzina di undici anni, vigliaccamente ucciso. “La dedizione di Salvatore Vinci al dovere – ha detto il colonnello Burri – siano un esempio per tutti i nostri giovani”.

Successivamente, mentre veniva intonato il Silenzio con la tromba, due carabinieri in alta uniforme hanno deposto una corona davanti alla lapide dell’appuntato Vinci, deposizione salutata dalla vice prefetto Lanini, dal colonnello Burri e dal colonnello Poli dell’Ana. Infine la benedizione della targa e del monumento ad opera di due sacerdoti: il parroco di Sant’Agnese monsignor Giuseppe Cavallone e il cappellano dell’Arma, don Antonio Altarsia.

Edm

Love
Haha
Wow
Sad
Angry

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here