Indagini solo verso Elena Romani. E nessuna prova, oggi, a carico di Antonino Cangialosi. E una morte senza soluzione quella di Matilda Borin. A più di tredici anni e mezzo il delitto di Roasio resta senza colpevoli. È quel che scrivono i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Torino nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 21 dicembre hanno assolto dall’accusa di omicidio l’ex bodyguard palermitano di 46 anni, confermando il verdetto pronunciato in primo grado dal gup di Vercelli. Nel 2011, dalla stessa accusa era stata assolta in via definitiva anche la stessa Elena Romani. Una sconfitta della giustizia, come l’ha definita il pg Marcello Tatangelo nella sua requisitoria. Perché, come sottolinea adesso la Corte presieduta da Fabrizio Pasi, «uno dei due è certamente il colpevole», dal momento che «entrambi hanno negato di aver colpito Matilda» e «certamente o l’uno o l’altro ha mentito».
Il 2 luglio 2005 erano in tre in quella casa nel Vercellese: la bimba di 22 mesi, sua madre, il compagno della donna. La piccola è stata assassinata, anche se «non è possibile stabilire come sia stata colpita o, meglio, con cosa o contro cosa sia stata schiacciata: se con un oggetto o con una parte del corpo contro la sponda del letto, o quella del divano o contro un sanitario del bagno». E a ucciderla dev’essere stato uno dei due adulti che si trovavano con lei. Ma «sulla base degli elementi a disposizione, a carico di Cangialosi non risulta alcuna prova». E «non può essere condivisa la considerazione» dei giudici che scagionarono la Romani, «secondo la quale per forza di cose ogni elemento a carico di costei rivelatosi inconsistente si risolverebbe automaticamente in un elemento a carico di Cangialosi». Ma se non esistono prove contro l’imputato è anche per colpa di «indagini non sufficientemente aperte nella ricerca di ulteriori elementi nei confronti» di entrambi i sospettati. «Appare ragionevole — si legge nel documento — l’affermazione di chi ha criticato lo svolgimento delle indagini, in quanto da subito indirizzatesi unicamente nei confronti della Romani» sulla base di «indizi» che si sono poi rivelati «privi di consistenza». «Ciò non di meno — aggiunge la Corte —, è certo che sulla base degli elementi a disposizione non sia possibile estrapolare anche un solo indizio fornito di adeguata univocità e consistenza» a carico di Cangialosi.
Quindi, «sebbene si possa dare per certo che solo due persone possano aver commesso un determinato delitto, l’assoluzione di una di esse non può dimostrare da sola la colpevolezza dell’altra. Perché occorre comunque una prova positiva della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio, ed è ben possibile che gli elementi a disposizione non ne consegnino di adeguate» né a carico di Elena Romani né di Antonino Cangialosi.