Giovedì alle 10,30 l’addio in Duomo al dottor Giovanni Canavero: simbolo del vero medico di famiglia

 

Saranno celebrati domani, govedì, alle 10,30, in Duomo, i funerali dell’amatissimo medico di famiglia Giovanni Canavero, ucciso dal Covid a 66 anni. Il dolore dei colleghi, degli assistiti, dell’intera città è enorme. Canavero lascia usa figlia, Isabella, la sua Isa, neurologa all’istituto neurologico nazionale “Mondino” di Pavia, il genero Paolo Prunetti e l’amatissimo nipotino Pietro, per cui stravedeva. Il neo presidente dell’Ordine dei medici di Vercelli, Germano Giordano, lo ha dedifinito il medico di famiglia per antonomasia perché Giovanni Canavero andava nelle case degli assistiti a portare la sua competenza medica, ma anche grande umanità, affetto, andava spesso ad ascoltare, ad incoraggiare più che a prescrivere medicine.

Per questa ragione, sociale, ad esempio il Gruppo Facebook “Notizie sulla sanità vercellese e il suo ospedale” sono stati inondati di affetto verso la sua cara figura e di vicinanza alla famiglia.

Toccante il ricorso che, sempre su Facebook gli ha tributato l’amico e compagno di scola al Liceo Pier Giorgio Fossale, allegando una foto di una gita scolastica, a Roma, di 50 anni fa.

“Ciao Giuanon…
Eccoci insieme a Roma nel 1970…
Compagni di Liceo in gita scolastica a Roma….
Il mio cuore ti piange disperato, amico carissimo…
I tuo sorriso…
Un sorriso zampillante come acqua di fonte non lo dimenticherò mai…
è il sorriso di chi lotta, di chi ama la vita…e tu la vita l’hai amata fino all’ultimo giorno!
E quel tuo viso largo e grande come la tua generosità e la tua dolcezza….
Oggi davvero la campana suona nell’anima mia e in quella di tutti i colleghi…
Non ho più parole…
Solo lacrime…
Ciao Giuanon…!”

Canavero con Fossale in gita scolastica a Roma, 50 anni fa

E poi, sempre su Facebook, questo ricordo della figlia Isa, che non ha bisogno di commenti, perché dice tutto di un padre, di un uomo ammirevole, di un vero, caro amico di tutti.

“Come alcuni di voi sanno bene e come altri avranno potuto intuire, Papà è sempre stato un… personaggio, per usare un eufemismo, e stavolta me ne ha combinata un’altra, una proprio grossa. Ha pensato di poter essere forte abbastanza da sfidare, addirittura da poter sconfiggere un virus che pareva esotico e che invece da ormai un anno ha cambiato le sorti dell’intero pianeta. Sicuramente robusto e ben piazzato lo era, e per questo forse ha finto di ignorare che le vittime predilette da questo malefico virus siano state sin dall’inizio proprio i soggetti fatti come lui.
Lui, medico di famiglia fatto con uno stampo che forse ormai è andato fuori produzione, non ha minimamente considerato l’idea di tirarsi indietro, di preservarsi almeno un po’… Sommando ai drammi gestionali della pandemia in corso una atavica fatica e mancata integrazione con un sistema basato sulla burocrazia informatica e sulla telemedicina… La valutazione a distanza, per lui, che valutazione era? Bisogna andare e vedere di persona, per capire e per decidere. Poi ci stava volentieri un caffè con due pasticcini dopo la visita, e parlare di come andavano le cose a casa e della Juventus. Con la sua assurda passione per le nozioni inutili e per le curiosità, che snocciolava con fare enciclopedico. Sempre ironico, spesso inopportuno, lento e nel tempo sempre più gravoso nel movimento ma comunque irrefrenabile. Il suo telefonino Brondi con tasti belli larghi e suoneria inquietante era simbolo dello stress implacabile della sua routine lavorativa, con una reperibilità che è stata praticamente costante per diversi anni e che solo ultimamente aveva allentato, rendendosi conto che il fisico non riusciva a tenere il passo con la sua verve.


Razionalmente e clinicamente sapevo, dall’inizio del duello infernale con il virus maledetto, che lui partiva con diverse zavorre e con un quadro purtroppo con poche speranze. Ma queste sono rimaste, fino alla fine, perché Papà di risorse ne aveva un milione e contavo che riuscisse a stupirmi ancora una volta, dopo magari qualche giorno di tensione che gli avrei sicuramente recriminato appena possibile.
Amava nascondermi i problemi, per non farmi preoccupare, generando spesso in me sospetti e causando giri di telefonate per accertarmi che le cose fossero davvero come dichiarava. Magari l’avessi fatto anche due settimane fa. Poi, con lo stesso obiettivo e con pari successo, mi salutava attraverso il vetro della finestra della Rianimazione COVID con indosso il casco c-PAP facendomi “ok” con le dita della mano, oppure mi chiamava per dirmi un rapidissimo “sto bene” senza avere più fiato.
Prima, il nostro battibecco telefonico frammentato ed incalzante era il sale (a volte il pepe e a volte pure il tabasco) delle giornate, e mi manca già da impazzire.
Sapeva essere solare e affettuoso, disponibile e umano, come hanno ricordato i suoi adorati pazienti e colleghi, ma aveva anche un lato ruvido che in genere riservava ai familiari, quando assolutamente indomabile si rifiutava di sottoporsi ai controlli medici o si impuntava contro la proposta di migliorie domestiche o organizzative. Abbiamo discusso fino alla fine, ogni occasione era un buon motivo per farlo. Il fatto che abbia regolarmente vissuto con gli abiti comprati al discount “perché sono più comodi e c’è anche la XXL”, con il riscaldamento al minimo in una cascina enorme e nel disordine multistrato, “perché tanto io nel mio caos ritrovo tutto” [ecco, se solo ora non dovessi metterci le mani io], come un clochard di lusso, come un tenente Colombo. La scialacquatrice di casa sono sempre stata io, e lui si è privato di ogni sfizio materiale dapprima cercando, invano, di educarmi alla parsimonia, poi probabilmente per contenere le uscite che io determinavo.
Mi ha insegnato l’arte dell’ansia e del pensiero fobico e negativo, che io ho personalizzato leggermente declinando il suo atteggiamento talvolta evitante con un tratto più che altro ossessivo. Incredibile come la realtà sia riuscita a superare le mie peggiori fantasie. Eravamo l’uno la preoccupazione dell’altra, e nello stesso tempo in questo scontro di agitazioni spesso riuscivamo a darci sicurezza. “Ricordati che io non ti lascerò mai” sono le parole che mi ha detto in alcune, molto significative, situazioni della mia vita, e nelle quali avevo riposto le mie poche certezze.
Ora, visto com’è andata, per fare in modo che possa mantenere questa promessa devo inventarmi una soluzione. Ad esempio, potrei portarlo dentro di me, per sempre, in una forma priva di “fisico”, a prova di caducità. Credo ci voglia tempo, in realtà, per riuscirci senza soffrire troppo, la mancanza è crudele e straziante; per adesso lo considero come un obiettivo al quale spero arriverò non troppo in là.
Intanto mi accingo ad affrontare ogni prossima giornata con un’altra maschera, dietro all’immancabile mascherina”.

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