“Dopo aver ascoltato tutte queste cose, vi dico che ci ho ripensato: non vado più in pensione”. La battuta con cui il dottor Silvio Borrè, infettivologo da 40 anni nella sanità pubblica e da sedici anni primario al “Sant’Andrea” ha aperto ieri il suo intervento di congedo, visto che andrà in pensione da oggi, sabato primo febbraio, in un’aula magna affollata all’inverosimile da colleghi, infermieri, Oss, dirigenti della sanità e le maggiori autorità del territorio, compreso il prefetto Francesco Garsia, ora a Novara, ma, durante i terribili mesi della pandemia qui a Vercelli, a confrontarsi pressoché quotidianamente con Borrè.
E, a proposito di Novara, c’erano molti ex colleghi al Maggiore, compreso il rettore uscente dell’Upo, l’ematologo Gian Carlo Avanzi. E poi il presidente attuale dell’ordine dei medici di Vercelli Gianni Scarrone e l’ex presidente e grande amico di Borrè Pier Giorgio Fossale.

Una battuta fini a un certo punto quella dell’infettivologo che ci ha letteralmente tirati fuori dall’incubo Covid, visto che proprio in apertura di dell’impressionante pomeriggio del “Grazie” a questo straordinario medico, cittadino onorario di Vercelli, il direttore generale dell’Asl Marco Ricci, alla presenza di due dei suoi predecessori (Vittorio Brignoglio e Chiara Serpieri) ha annunciato che Silvio Borrè resterà ancora in servizio a Vercelli, come consulente, per sei mesi, lavorando quindici ore alla settimana.
Prima delle parole di commiato di Borrè, una vera narrazione trascinante, in tanti hanno parlato di lui, con affetto, stima, riconoscenza. Ricci nevha sottolineato “il livello di empatia, l’abnegazione, la passione, l’amore verso la medicina”; il direttore amministrativo Gabriele Giarola ha espresso la sua assoluta ammirazione; Brignoglio ha fatto notare che, più che le parole, contava la presenza massiccia, in quell’aula magna, davvero di tutto l’ospedale.

Al saluto mancava, di persona, la direttrice generale uscente dell’Asl, Eva Colombo, che però ha mandato una lettera che è stata letta dalla direttrice sanitaria aziendale, pure uscente (è andata in pensione all’inizio dell’anno), Fulvia Milano. Eva Colombo, nella lettera, ha sottolineato “l’attenzione del dotto Borrè verso il paziente, e la sua eredità professionale e umana”. Toccante l’intervento della dottoressa Milano: “Sono forse quella che ti conosce da più tempo, per me hai rappresentato tantissimo, la tua disponibilità verso i colleghi ed i pazienti era proverbiale, tu eri l’uomo dei sì incondizionati, senza ma”.
Molto sentito anche l’intervento di Chiara Serpieri: “Abbiamo trascorso assieme momenti difficilissimi, in tempi bui (quelli del Covid, ndr), ma le tue scelte sono state sempre acute, responsabili. Ci vorrebbero sempre più medici del tuo spessore professionale, della tua umanità, sei un faro per tutti i giovani medici che stanno crescendo”.
Poi c’è stata la stupenda lettera del predecessore di Borrè, il professor Franco Carcò, letta dal dottor Giarola, che ha ricordato i medici lasciatigli in eredità: Mario Gobber, Bianca Bianchi e Maria Esposito (pure per lei quello di ieri è stato l’ultimo giorno) e ha ringraziato Borrè per la passione, la competenza, l’esperienza con cui ha diretto il reparto che lui aveva creato al Sant’Andrea con la dottoressa Cerruti Mainardi.

Il sindaco Scheda ha sottolineato l’intuizione immediata con cui il suo predecessore Andrea Corsaro, pure presente in sala, aveva deciso di conferire la cittadinanza onoraria a Borrè, subito dopo la fine del lockdown, ha espresso parole di riconoscenza a nome della città per il primario e gli ha consegnato una targa che riproduce il simbolo di Vercelli, la basilica di Sant’Andrea.
Sono seguite parole di ammirazione da parte del presidente della Provincia Davide Gilardino e del consigliere regionale Carlo Riva Vercellotti che le ha espresse a Borrè anche da parte del presidente della Regione, Alberto Cirio, e dell’assessore alla Sanità Federico Riboldi.
Molto acuto l’intervento dell’arcivescovo Marco Arnolfo che, sottolineando la concomitanza della giornata del commiato del primario di Infettivologia con la ricorrenza di don Bosco, ha rilevato come Borrè fosse evidentemente aduso ad applicare una delle raccomandazioni basilari del Santo: “Non aspettate domani a fare il bene che potete fare oggi”.
Poi, e qui torniamo all’inizio di questo articolo, ha preso la parola lui, Borrè. E qui siamo in difficoltà a riportare sulla carta, un intervento che andrebbe ascoltato di persona parola per parola, appassionato, commosso, spiritoso. È partito dalla constatazione che egli decise di specializzati in Infettivologia, quando la Sanità italiana (siamo negli Anni Ottanta) voleva chiudere le Malattie Infettive perché “il vaiolo era stato sconfitto e il cancro aveva rimpiazzato la tubercolosi”. Manco il tempo di affermare queste cose, che è arrivato l’Aids, con medici del valore di Franco Carcò che per fortuna hanno evitato la ghettizzazione degli ammalati.

Borrè ha citato il suo primo primario, a Novara, il dottor Pietro Tito Ricciardiello, che, il primo giorno, gli disse: “Non si sbagli più ad arrivare prima del primario”. Ha quindi ricordato i grandi medici novaresi con cui ha condiviso decenni di attività al Maggiore, da Manca a Pia, da Bellomo a Pelosi, e ha salutato alcuni ex primari vercellesi presenti cui era particolarmente legato come Paolo Conti (Pneumologia) e Franco Coppo (Neurlogia).
Quindi il discorso, a lui carissimo dello studio approfondito delle complicazioni causate dalle infezioni nel settore alle ossa e alle articolazioni: dal suo primissimo rapporto con Franco Ghisellini, a NovRa, a quello più recente a Vercelli con il dottor Domenico Costantino Aloj. “Mia moglie – ha raccontato Borrè – mi diceva sempre: ‘Passi più tempo con gli ortopedici che con la tua famiglia’”. Tutto ciò fino all’agognato riconoscimento del Centro regionale di diagnosi e cure delle malattie ortoinfettive, istituito nel 2020 all’Asl di Vercelli ovviamente con Borrè e Aloj inseriti nel gruppo dí coordinamento.
Tantissimi, i ricordi, gli spunti gli aneddoti dei sedici anni al “Sant’Andrea”. “Fu Brignoglio a volermi qui. Gli risposi: ‘Io sono politicamente debole’. Mi rispose che non dovevo assolutamente preoccuparmi di questa cosa”.
“A Vercelli ho trovato persone fantastiche, ad esempio l’avvocato Dario Casalini, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio. Un giorno mi chiese di spiegargli che cosa facevamo in Infettivologia e poi disse: ‘Mi parli di che cosa ha bisogno. Cautamente gli prospettai l’acquisto di uno spettrofotometro di massa, che avrebbe fatto fare un salto di qualità al nostro reparto. Ne dispose l’acquisto. Ebbene, non ci crederete, ma non potemmo installarlo al Sant’Andrea perché non c’era ancora alle Molinette e a Novara. Lo ottenemmo diverso tempo dopo”. Ecco che cosa intendeva Borrè parlando di “politica” con Brignoglio.
A proposito di presidenti della Fondazione Carisver, ha ringraziato anche l’attuale Aldo Casalini (figlio di Dario) e il suo predecessore Fernando Lombardi, pure presenti in aula magna. Quindi i grazie ai tanti colleghi vercellesi, a Carcò per avergli apparecchiato un’Infettivologia di altissimo livello, al sindaco Corsaro e a Chiara Serpieri, per il loro ruolo determinante nel periodo del Covid. E poi il grazie, commosso, a tutto il suo reparto. Il primario di Radiodiagnostica Alessandro Stecco, con la dottoressa Annalisa Oppezzo e il dottor Alekos Bompotsiris hanno donato a Borrè un maglietta speciale della loro Divisione, mentre il Bicciolano, Claudio Cagnoni gli ha fatto omaggio di due pigotte carnevalesche dell’Unicef.

Ripetiamo, sarebbe stato fantastico se tutti voi aveste potuto ascoltar di persona le parole di Borrè. Avreste amplificato se possibile il vostro Grazie all’uomo che cinque anni fa, ci ha salvati dal Covid. Il medico che di notte, quando noi tutti eravamo chiusi in casa, saliva sul terrazzo dell’ospedale a confidarsi coi colleghi, esprimendo onestamente e umanamente i timori di non potercela fare (il vaccino era ancora lontano), ma sapendo che ce l’avrebbe fatta. E ce l’ha fatta.
Enrico De Maria






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