Riceviamo e pubblichiamo
Quella che ci ha coinvolti è una storia bella, di quelle a cui non siamo più abituati in questa società che disincentiva ad essere umani, solidali e disinteressati nei confronti del prossimo.
Venerdì 13 Mattia annuncia sul sito di Officine Sonore che queste chiuderanno il 6 gennaio. Dopo nove anni, è impossibile reggere. Officine è un luogo in cui si sono esibite migliaia di musicisti, dal mondo, da Vercelli, dall’Italia. Un luogo per la musica, insonorizzazione perfetta, accoglienza, cura ed attenzione, a dire loro. Un luogo per la musica, la vita per Mattia; si può resistere imponendosi gravissime rinunce ma quando, anche queste diventano inutili, si arriva al punto che ogni sforzo non serve più.
A mio parere, i genitori dovrebbero essere i primi ad aiutare i propri figli, economicamente, perché i soldi contano, aldilà di tutte le ipocrisie, e servono non tanto a realizzare dei sogni ma a concretizzare, quando ci sono, interesse, capacità, impegno. Ma occorre, appunto, fermarsi quando gli sforzi si rivelano inutili. E così arriva il momento di annunciare che Officine chiuderà. In pochi minuti giungono centinaia di commossi e dispiaciuti messaggi; Mattia e Monica hanno il telefono rovente. I giornali riportano la notizia. Ciò che emerge è il fatto che in Officine Sonore si fosse creato un progetto che, evidentemente, piaceva. Si faceva musica dal vivo, le band provavano e si esibivano con piacere, bene assistite. Perché la musica per vivere ha bisogno di cura. Vive vivendo, facendosi strada nella fatica, nell’impegno, nello studio, nella passione.
Il progetto voleva recuperare la musica suonata sorretta dalla sua conoscenza, quella che prevede studio, e tanto impegno. Rock e non solo rock.
E così arrivano grandi musicisti da ovunque: Richie Ramone, icona del punk newyorchese, Ginger Wildheart, fondatore dei Wildhearts, una leggenda del rock inglese, e Gilby Clarke, chitarra dei Guns’n’Roses, Blaze Bayley, l’ex voce degli Iron Maiden, la canadese Jenni Woo, gli L.A. Guns, i Graveltones, gli statunitensi Goddam Gallows, ed un mito, Michale Graves, e poi Cesareo, eccetera eccetera. Arriva gente a sentirli anche dalle vicine Francia e Svizzera.
A Vercelli Mattia aveva voluto fare questo. Dopo aver viaggiato in Europa, da tecnico del suono, dalla famosa gavetta, dormendo in posti inimmaginabili, attraversando la Manica, di notte, in coperta, in inverno, per non spendere; vivendo i timori di chi si trova in Kosovo nel giorno della dichiarazione di indipendenza e viene fermato al confine serbo da militari che intimano l’alt con i mitra spianati, trovando solo strumenti; percorrendo lande desolate nell’est Europa fino al castello di Dracula ed infinite altre cose, lui decide che Vercelli è non solo casa ma il luogo in cui crede si possa lavorare; e poi, sì, ci sono la sua famiglia ed i suoi amici, quelli che non l’hanno abbandonato mai, e sono tanti, anche quando le sofferenze sono state ancor più toste e di altra natura. Decide che si può fare questa cosa, portare il mondo qui e rispondono da tutta Italia e non solo. Decide che si può rinunciare a tutto; costruisce con Officine, fonda con altri musicisti i Niamh, e, fatto che non dice ma di cui va orgoglioso, porta i suoi allievi della Vallotti, la nostra bellissima Scuola Comunale di musica, dove insegna Tecnologie del suono, a fare esercitazioni pratiche, ovviamente gratuite, in Officine, dove lui, durante i concerti, fa il tecnico del suono, il suo lavoro, ma anche il cuoco, il cameriere, l’ uomo delle pulizie mentre le notti si fanno insonni con l’aggravarsi dei problemi fino a quella decisione.
Ma ecco che si verifica ciò che non ci si aspetterebbe mai. Carlo Olmo lo contatta e vuole sapere perché la città deve rinunciare ad un luogo come Officine, e Mattia, che non lo conosce, racconta delle difficoltà e dell’impossibilità a proseguire. E si verifica un fatto, che nei pressi del Natale assume il sapore del magico. Così, senza esitare, Carlo Olmo gli mette in mano un assegno da 30.000 euro affinché Officine possa far di tutto per rimanere a Vercelli.
E qui finiscono le parole, rimangono la commozione, la gratitudine per chi ha un cuore grande, un animo nobile e crede che in questa città, a volte poco reattiva e sonnolenta, in cui spesso prevale la rassegnazione di chi ha perso le speranze, si debba aiutare anche ciò che non rientra in certi parametri consueti; capisce che proprio le particolarità, che poi interessano tante persone, possono essere una risorsa di professionalità, cultura ed aggregazione se si è lungimiranti ed attenti, se si fanno le cose con competenza e passione.
Sono autentiche rarità persone come Carlo Olmo; rarità ma sono fra di noi. Carlo Olmo ne è la prova.
Ed il bene Carlo Olmo lo fa spesso. Non lo sapevamo ma saperlo deve far piacere a tutti ed inorgoglire i suoi concittadini. Fare il bene è una scelta, non semplice, e poter scegliere dà la libertà di essere pienamente consapevoli di ciò che si è. Senza alibi.
Mattia è mio figlio ma ne sono orgogliosa ben al di là di questo. Credo, soprattutto, che faccia sicuramente bene parlare di storie come questa.
Da parte nostra, di genitori, che abbiamo appoggiato Mattia fino all’impossibile, possiamo, sì, possiamo solo essere grati a Carlo Olmo.
Lorenzin Opezzo





