Caro Andrea,
È passata poco più di un’ora da quando ho saputo, da quando ho messo giù il telefono con Maura Forte, che aveva una voce che non potrò mai dimenticare. Non riesco a fare niente. Il telefono squilla in continuazione. Il mondo sta chiedendo di te e ti sta piangendo, con infinito rimpianto, con vero, lancinante dolore.
Ed io, non sapendo che fare, faccio l’unica cosa che mi sento, che so fare in questo momento: scriverti.
Avrei tanti ricordi, si stanno affastellando tutti nelle mia mente, come se fosse un caleidoscopio. Si va dall’ultimo tuo messaggio WhatsApp per ringraziarmi degli auguri di buon compleanno, il 4 gennaio, a te vestito da Giöbi con la tua Vittoria (l’ultima tua Majot), da te che avevi preso a cuore (come facevi con tutte le cose che ti competevano istituzionalmente) il futuro della Scuola Vallotti, alle tante tue presenze ai Memorial del Folk, sempre disposto a cantare, anche improvvisando, con la tua bellissima voce dall’intonazione perfetta.
Parto da qui. Dai funerali di una persona cui volevamo tutti bene: il Gianni Dosio. Eravamo in tanti in Duomo la mattina del 23 gennaio 2016. La commozione di quel giorno era generale, in una Cattedrale gremita. Poi quando il feretro uscì lentamente attraverso la navata centrale, si levò un canto conosciuto, dolce, struggente: “Oh Signur!”, dei Celti, più volte suonata da Dosio. La voce era la tua, bella come sempre, ma intinta in un dolore che traspariva e che bucava il cuore.
Un altro flash mi riporta indietro di 25 anni: un sedicenne che, puntualmente si recava alla “Bertagnetta” per stare vicino ai giovanissimi profughi del Ruanda che avevano trovato accoglienza nella nostra città, per sfuggire ad una guerra etnica atroce. Ovviamente eri tu.
Ti sei speso per gran parte della tua breve, ma intensa, generosa vita a favore degli altri. Sempre sorridente, sempre disposto al dialogo, sempre conciliante, ma anche sempre pratico. E il nuovo incarico di assessore alle Politiche sociali (un incarico proibitivo per chiunque) sembrava apposta ritagliato su di te.
Eri tutto sommato giovane, ma era impossibile coglierti impreparato quando si trattava di celebrare cari e vecchi ricordi della nostra città. In quei momenti, oltre alla cultura, all’intelligenza, allo studio della città che amavi, della sua storia, delle tue tradizioni, ti supportavano arcani suggerimenti, ispirazioni che Vittorio Messori nel suo ultimo libro ritiene di provenienza celeste (e sono certo che lo pensassi anche tu).
Non riesco a proseguire, se non andando ad attingere ad un paragone letterario, che mi sembra il più calzante per ricordarti. Nell’”Idiota” di Dostoievki c’è la figura che più ti assomigliava, il Principe Miskyn, Il personaggio buono per antonomasia di tutta la letteratura mondiale. Nel suo straordinario romanzo, Dostoievski racconta di Miskyn che, preso a compassione per la sorte di una povera giovane sciancata, che si chiamava Marie, e che era il principale bersaglio del dileggio da parte da alcuni ragazzi, insegna loro a rispettarla, ad amarla. E quando Marie si ammala gravemente, i bambini (“come passerotti che picchiano ai vetri della finestra”, scrive Dostoievski) vanno a salutarla ogni giorno, dicendole: “Ti amiamo, cara Marie”.
Tu, che insegnavi agli altri ad amare, sei stato quel Miskyn, una delle figure più “positivamente buone” che la nostra città abbia avuto il privilegio di vedere crescere, sempre nel Bene, nella sua lunga storia. E oggi, come passerotti, nel nostro dolore incancellabile, tutti siamo intorno a te, a picchiare alla tua finestra – come ci hai insegnato tante volte a fare nei confronti delle persone pù bisognose e sofferenti – a dirti che ti vogliamo bene.
E dunque, parafrasando la canzone che hai dedicato al Gianni, lasciami cantare sommessamente, trattenendo le lacrime: “Oh Signur / fami ‘ancu’ ‘s piasì / fa satè subit l’Andrea ‘vsin a ti”.
Enrico De Maria






Sei stato un uomo meraviglioso e il tuo papà e tua madre oggi hanno da affrontare un dolore immenso ma tu da lassù aiutali e proteggi la nonna Anna eri la luce dei suoi occhi