Voleva aiutare un amico: imprenditore distrutto da 9 anni di accuse assurde e infamanti

Marco Quaglia, conosciutissimo a Vercelli, ha 59 anni

 

Da nove anni un imprenditore edile vercellese molto conosciuto e stimato in città, Marco Quaglia, 59 anni, vive in un incubo feroce, kafkiano: suo malgrado, si è trovato al centro di una spietata guerra tra coniugi, che gli ha procurato una serie di accuse infamanti: violenza sessuale ai danni di minori e detenzione e vendita di video pedopornografici. Dopo indagini di diverse procure, pronunciamenti di vari pm, gip e tribunali, è evidente (anche perché scritto nero su bianco) che Quaglia non ha fatto niente di niente. Ma quella che un tempo era una sua amica continua ad opporsi alle richieste di archiviazione che riguardano anche gli altri protagonisti di questa brutta, allucinante storia. E si ricomincia sempre da capo, ormai da nove, estenuanti anni.

IL PM: “LE DICHIARAZIONI DI QUELLA RAGAZZA SONO POCO VEROSIMILI”

L’ultima richiesta di archiviazione è del 18 dicembre scorso. Il procuratore della Repubblica aggiunto di Cagliari Gilberto Ganassi, ritenendo “intrinsicamente poco verosimili” le dichiarazioni della principale accusatrice, una ragazza (ma all’epoca dei fatti bambina di 4 anni) che ha chiamato in causa lui e altre quattro persone (di cui due risultate, alla fine di un lunghissimo iter giudiziario, del tutto inesistenti), ha chiesto l’archiviazione al Gip. La controparte (l’ex amica dell’imprenditore) ha già fatto opposizione e così è stata fissata davanti al Gup una nuova e si spera definitiva udienza che si dovrebbe svolgere a Cagliari il prossimo  25 settembre.

Matteo Sereni e la moglie, Silvia Cantoro

Ma Marco Quaglia, intanto, è un uomo distrutto e ridotto sul lastrico, al punto che, alla fine di novembre,  ha tentato il suicidio: in un albergo di Olbia ha preso una quantità esagerata di farmaci per farla finita ed è stato salvato da una dipendente dell’hotel. Si è risvegliato in una stanza di ospedale. “E nella mia vita – dice – c’è un blackout di sessanta ore”.

LA BELLA AMICIZIA DI UN TEMPO

Appunto, la vita di Marco Quaglia. Fino al settembre del 2011, una vita intensa e di successo. Soprattutto carica di affetti e di amicizie. La madre titolare di un notissimo negozio di abbigliamento a Vercelli, in via Veneto, e lui imprenditore affermato alla testa di un’impresa edile che in Costa Smeralda, dove aveva preso casa ad  Arzachena, stava procurando e gestendo abitazioni di prestigio anche a diversi Vip. Purtroppo per Quaglia, uno di questi Vip è Matteo Sereni, portiere di squadre di serie A come Sampdoria, Lazio e Torino. Tra Quaglia e Sereni ci sono quattordici anni di differenza, ma, rapporti professionali a parte (Quaglia ha procurato una splendida casa per l’estate al giocatore, a Porto Cervo), i due diventano amici e così le rispettive compagne, la moglie di Sereni, Silvia Cantoro (che è stata anche procuratrice del marito) e la compagna di Quaglia, Cristina.

Sereni, che a quei tempi giocava ancora nel Torino, invita spesso gli amici Marco e Cristina sulla sua splendida barca di 15 metri che si chiama “Serenity”, frequentata anche da personaggi come Simona Ventura  e Alberto Tomba. I rapporti tra le due coppie sono semplicemente fraterni. Finché, nel 2009 Sereni lascia la moglie per un’altra donna, più giovane. In breve, si arriva alla separazione di fatto, poi formalizzata nella richiesta della donna, che si rivolge al giudice. 

E lì Silvia Cantoro, incomincia a parlare del marito come di un essere abietto, un pedofilo, che ha ha avuto di continuo rapporti sessuali con una bambina. Lo racconta lo stesso Sereni a Quaglia, dicendogli: “Mia moglie è pazza”. I due sono ormai separati, ma la casa di Porto Cervo, cointestata, continua ad essere utilizzata soprattutto dalla donna che, nell’agosto del 2010 invita Quaglia e la compagna Cristina a prendere un caffè. E lì racconta loro, con una crudezza di particolari sconvolgente, del marito che avrebbe approfittato di una bambina di quattro anni. Non accenna minimamente al fatto – come invece farà dopo più di un anno – che tra i “mostri” che abusavano della piccola ci fosse anche Quaglia. 

VENDETTA PER LA TESTIMONIANZA A FAVORE DELL’EX MARITO?

L’imprenditore vercellese e la sua compagna escono sconvolti da quella visita. Quaglia chiama Sereni e gli dice: “Guarda che tua moglie è scatenata”. Sereni gli ribadisce che è una pazza furiosa e che vuole fargliela pagare perché l’ha lasciata per una donna più giovane.

Si arriva così al giugno del 2011: Silvia Cantore, allora assistita dall’avvocato Carlo Taormina, avvia una serie di dure denunce contro il marito, a Torino e a Genova. E’ allora che Sereni si rivolge a Quaglia per chiedergli aiuto: “Il mio avvocato di Genova mi chiede se tu e Cristina sareste disposti a testimoniare a mio favore come persone informate sui fatti, qualora dovessi andare a processo”. Quaglia, per amicizia, risponde subito di sì e non sa che, in quel momento, firma la sua condanna ad un tormento che sembra senza fine. Per prima cosa, su richiesta dell’avvocato difensore di Sereni, Quaglia prepara una memoria scritta (condivisa anche dalla sua compagna) che consegna il 12 settembre del 2011 all’avvocato genovese.

Passa poco più di un mese ed ecco che l’ex moglie di Sereni, che aveva raccontato le “nefandezze” del marito a Quaglia, senza minimamente citarlo, chiama in causa anche lui: “C’erano anche mio cognato Giacomo e Marco Quaglia a partecipare, con altri uomini, alle violenze sulla bambina”.

La “coincidenza” tra l’arrivo della memoria difensiva a favore di Matteo Sereni e la chiamata a correo di Quaglia è talmente evidente da essere sottolineata anche nell’ultimissima richiesta di archiviazione fatta dal pm di Cagliari, che scrive testualmente: “Anche la temporalità delle accuse a Marco Quaglia rispetto alla testimonianza dello stesso è alquanto sospetta”.

Fatto sta che per Quaglia nel febbraio del 2012 incomincia un vero calvario, durante il quale, anno dopo anno, l’imprenditore incomincia a capire che forse lo stesso Matteo Sereni non gli è poi così tanto amico, visto che smentisce molte delle sue stesse testimonianze e visto che – dopo avergli assicurato che gli avrebbe pagato tutte le spese legali – rifiuta di versagli una prima tranche per l’onorario al suo avvocato, un bravissimo penalista vercellese.

Ripercorrere qui tutto lo sconvolgente iter processuale di questa vicenda sarebbe impossibile perché non basterebbe un libro, figurarsi un articolo.

E DOPO ANNI FINALMENTE SENTITO IL MARITTIMO DELLO YACHT

Accenniamo solo ai fatti più rilevanti. Il primo è che Quaglia apprende di essere coinvolto nella vicenda solo nel febbraio del 2012, quando i carabinieri  vanno a perquisirgli l’alloggio di Arzachena, sequestrandogli il pc, alcuni cellulari e anche un album fotografico, di cui parleremo più avanti.  Invece Sereni sapeva da tempo del coinvolgimento dell’amico, visto che la denuncia dell’ex moglie alla Terza sezione della Questura di Genova era di tre mesi e mezzo prima. D’accordo, sarà stata anche una strategia consigliata dai suoi avvocati, ma non dire nulla ad una persona che è nei guai solo perché ha accettato di aiutarti è umanamente inaccettabile.

Arzachena, la località della vicenda che ha rovinato la vita a Marco Quaglia

Secondo fatto. Le accuse contro Quaglia sono del tutto inverosimili. Secondo il racconto della bambina, poi fatto proprio nella denuncia della Cantoro, alcuni uomini, e cioè il suo ex marito, il suo ex cognato, Quaglia e altri due, che non sono mai stati identificati, si erano appartati più volte con  lei nell’estate del 2009 in alcune calette deserte della Costa Smeralda, raggiungendola con un gommone, che veniva calato dallo yacht “Serenity”: lì, nelle calette “deserte” (figurarsi in estate, in Costa Smeralda!) i cinque uomini si accoppiavano tra di loro, si filmavamo e poi coinvolgevano nei loro turpi giochi erotici anche la bambina, la riprendevano e vendevano i dvd ai pedopornografi.

Non solo, secondo il capo di accusa, spesso alla bambina si aggiungevano altri due minori (un bambino e una bambina: mai trovati in nove anni di indagini e di processi) e, talvolta, queste terribili orge si svolgevano nella casa di Quaglia dove, un giorno, la seconda bambina sarebbe stata addirittura accoltellata ad un ginocchio da Quaglia per impedirle di scappare.

Accuse rivelatesi alla fine “intrinsicamente poco verosimili”, su cui però diverse procure, ad esempio quelle di Tempio Pausania e di Cagliari, hanno istituito fior di  procedimenti. Il tutto senza, ad esempio, interrogare il marinaio che conduceva, quella famosa estate, il  “Serenity”: è stato lo stesso Quaglia a suggerire alla polizia giudiziaria di Cagliari – da cui aveva voluto assolutamente essere interrogato – di farlo. Incredibile che, prima, nessuno avesse pensato di ascoltare un teste così importante: uno che stava tutto il giorno sulla famosa barca “maledetta”.

La testimonianza del marittimo Francesco Dini occupa uno spazio preponderante nella richiesta di archiviazione (si spera definitiva, per Quaglia) del pm di Cagliari. In buona sostanza, Dini scrive che era sempre presente lui alle manovre del “Serenity”, che nessuno poteva mettere in acqua il gommone, se non c’era lui, unico depositario delle chiavi, e che quel gommone, in quell’estate, non è mai andato nelle calette incriminate, con a bordo i tre uomini (o cinque, secondo le mutevoli dichiarazioni della giovane accusatrice) e una bambina.

LA RIDICOLA MADRE DI TUTTE LE PROVE: UN ALBUM FOTOGRAFICO 

E non solo. Nel pc e nei cellulari di Quaglia non sono state trovate immagini pedopornografiche; nessuna traccia dei famosi dvd, sui quali ha indagato anche la Direzione distrettuale antimafia, e dei soldi intascati per la loro vendita.

E poi, e qui siamo nel tragicomico, quella che secondo gli inquirenti di Tempo Pausania, sarebbe dovuta essere la madre di tutte le prove contro Quaglia: una foto artistica scattata da una notissima fotografa vercellese, Claudia Lizio Bianchi, in cui l’imprenditore era con  la nipotina di tre anni nuda. Foto sequestrata durante la perquisizione della casa di Arzachena, e che avrebbe dovuto “inchiodare” Quaglia. L’imprenditore ha dovuto esibire gli analoghi album in possesso della mamma e di sua sorella ed è stato anche per questo motivo che il 26 luglio 2013 la posizione di Quaglia è stata stralciata dal procedimento da parte della stessa pm di Tempio Pausania  che ha chiesto il rinvio a giudizio solo di Sereni. Quel giorno, per Quaglia sembrava tutto finito, ma poi si è riaperto il capitolo di Cagliari, con le indagini della Dda sul possesso e il commercio del materiale pedopornografico mai trovato da nessuna parte.

Il Tribunale di Cagliari, dove A settembre potrebbe finire l’incubo di Quaglia

A tutta questa catena di ingiustizie terribili subite da Quaglia, aggiungiamo la tortura mediatica inflittagli da un giornale sardo con la notizia a tutta pagina del caso-Sereni. Se è vero che qualche giorno dopo, lo stesso giornale ha pubblicato, con evidenza, una sua lettera a discolpa, è altrettanto vero che Quaglia ha voluto assolutamente sapere perché quel giornale avesse  deciso di pubblicare il suo nome, senza prima ascoltarlo. Ebbene, Quaglia ha spedito, prima di tentare il suicidio, una chiavetta al pm di Cagliari in cui c’è una testimonianza ben precisa sul “perché” di quell’accanimento contro di lui; parole che potrebbero destare per lo meno l’attenzione, oltre che della magistratura, anche di almeno un paio di Ordini professionali. Ricordiamo che la pubblicazione di quell’articolo ha significato la fine della sua attività imprenditoriale.

LA LEALTA’ DI CRISTINA, L’EX COMPAGNA DI QUAGLIA

Sarebbero ancora tante le cose da raccontare. Ma Quaglia, che si ritrova adesso, sessantenne, sul lastrico, spera soltanto una cosa: che venga finalmente scritta la parola fine ad una storia che lo ha travolto, all’improvviso, solo perché, con generosità, egli ha cercato di aiutare un amico che era in difficoltà. In tanto squallore, in tanta ferocia, anche qualche storia edificante. Ad esempio quella dell’ex compagna Cristina, donna ammirevole. Saputo che non stavano più insieme, Silvia Cantoro ci ha provato, informando la procura di Cagliari: “Non è più la sua donna, adesso non lo difenderà più”. La procura, nel maggio del 2019, ha telefonato a Cristina: “E’ disposta a venire di nuovo a testimoniare?”. Cristina ha risposto: “Certo, mi pagate il viaggio e le spese d’albergo. Ma sappiate che io continuerò a dirvi che Marco è una brava persona e che non ha fatto niente”. Risposta da Cagliari: “Grazie lo stesso, ci basta la sua testimonianza precedente”.

ENRICO DE MARIA 

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