Un’opera per l’Epifania: l’Adorazione dei Magi di Pietro Perugino, quando sacro e profano si mescolano

Pietro Vannucci, detto Perugino (Città della Pieve, circa 1450 - Fontignano, 1523), Adorazione dei Magi, circa 1473, olio su tavola, 242 x 180 cm, Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria.

L’Epifania tutte le feste le porta via, recita un antico proverbio. Infatti per tradizione il 6 gennaio terminano le festività natalizie, il giorno dopo si torna al lavoro, i ragazzi riprendono ad andare a scuola, le statuine del presepe, gli addobbi e le decorazioni dell’albero vengono ritirati nelle scatole dove riposeranno per dodici mesi, prima di ricominciare il loro ciclo.

Il termine epifania deriva dal greco e significa manifestazione, che per il Cristianesimo è quella di Gesù all’umanità. Nell’iconografia è fissata come l’Adorazione dei Magi, saggi astrologi provenienti dall’Oriente che, guidati dalla stella cometa (la luce di Dio), giungono a portare i loro doni davanti al luogo dove è nato il Bambino.

Il soggetto dell’Adorazione dei Magi è presto divenuto un motivo ricorrente nella Storia dell’arte, specialmente in pittura dove ha conosciuto le sue maggiori fortune. Quasi tutti gli artisti hanno nel loro repertorio almeno un’Adorazione: Giotto, Gentile da Fabriano, Beato Angelico, Benozzo Gozzoli, Botticelli, Leonardo, Mantegna, Bosch, Brueghel, Perugino, Raffaello, Rubens, fino ad arrivare nel Novecento con Nolde. Sono soltanto alcuni degli esempi di un elenco che altrimenti sarebbe lunghissimo.

Difficile sceglierne una perché tutti sono dei capolavori: da quella di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, dove la sacralità si mescola alla quotidianità, a quella chiaramente celebrativa di Benozzo Gozzoli nella cappella di Palazzo Medici Riccardi a Firenze. A tal proposito va detto che nel XV e nel XVI secolo i committenti spesso non perdevano occasione di farsi ritrarre nella scena in questione, così da consegnare ai posteri un segno tangibile del loro potere, dando così origine a una curiosa commistione di sacro e profano.

Se il caso di Benozzo Gozzoli è fin troppo lampante, lo stesso, seppure con meno vigore, si può osservare nell’Adorazione dei Magi di Pietro Perugino, dipinto a olio su tavola conservato nella Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia.

Pietro Vannucci dipinse questa grande pala d’altare attorno al 1475 per la chiesa perugina di Santa Maria dei Servi. Già Giorgio Vasari ce ne parla nella seconda edizione della Vite del 1568, tuttavia il suo è un giudizio tutt’altro che lusinghiero, a causa – sostiene l’aretino – del linguaggio e della tecnica ancora troppo acerbi dell’autore, specie se confrontati con i lavori della maturità che spianeranno poi la strada a Raffaello, suo celebre allievo.

L’Adorazione dei Magi è un’opera giovanile che ha la memoria fresca della lezione di Andrea del Verrocchio (visibile nelle screziature dei panni e nel Bambino) e della contemporanea evoluzione della pittura fiorentina di Botticelli e di Ghirlandaio, citati nelle figure del corteo e nel loro sfarzoso abbigliamento.

Perciò, quello che è il soggetto principale passa quasi in secondo piano rispetto alla mondanità dell’evento. A colpire più che l’Adorazione è infatti la pomposità delle figure in attesa di rendere omaggio al Bambino. Esse paiono quasi disinteressarsi, eccezion fatta per il terzo dei Magi, in ginocchio davanti alla Sacra Famiglia, e preferiscono concentrarsi sull’uomo al centro, quasi certamente quel Braccio Baglioni esponente di spicco dell’aristocrazia cittadina, signore di Perugia e amico di Lorenzo il Magnifico. Così costruita dunque, la composizione perde quell’aura mistica e sacra, presente invece in altre Adorazioni.

La pala è stata al centro di un’accesa discussione per ciò che concerne la sua attribuzione. Nell’Ottocento, quando si ebbe la riscoperta di Perugino grazie alle indagini critiche di Jacob Burckhardt, Hippolyte Taine, John Ruskin e Bernard Berenson, la si pensò dapprima opera di Fiorenzo di Lorenzo (Cavalcaselle, 1866) e poi condivisa tra i due artisti (Graham, 1903). Si dovette aspettare il 1911 quando Adolfo Venturi, riprendendo quanto scritto dal Vasari, assegnò la paternità a Perugino, osservando le particolarità del dipinto e confrontandolo con i riferimenti a sua disposizione: Verrocchio, Pollaiolo, Piero della Francesca.

Da quel momento in avanti mai più nessun dubbio è stato avanzato. Anzi, iniziò il gioco di cercare, tra le figure del dipinto, i ritratti dei notabili dell’epoca, secondo la stessa soluzione adottata da Benozzo Gozzoli a Firenze. Von Ruhmor nel 1827 propose che l’uomo all’estrema sinistra fosse proprio il Perugino che invece di guardare avanti, volge fiero gli occhi allo spettatore. Più recentemente, sono stati riconosciuti alcuni membri della famiglia Baglioni: il Mago più anziano Gaspare corrisponderebbe al capostipite Malatesta Baglioni, Baldassarre raffigurerebbe Braccio, guida della casata all’epoca in cui il dipinto fu realizzato, il giovane Melchiorre avrebbe infine il volto del figlio di Braccio, Grifone, destinato a succedergli al potere.

Del tutto probabile, in ogni modo, è il coinvolgimento dei signori di Perugia nella commissione del dipinto. La chiesa di Santa Maria dei Servi era infatti prossima alle residenze dei Baglioni sul Colle Landone, anch’esse abbattute per permettere l’erezione della Rocca Paolina, e ospitava nelle sue cappelle le sepolture di alcuni membri della famiglia. Nel 1471, tra l’altro, il citato Braccio aveva fatto erigere nell’edificio un sacello dedicato alla Vergine, ultimato nel 1478.

Il difficile compromesso tra l’antico e il nuovo, i rapporti con i Baglioni e l’immagine del loro potere, le influenze fiorentine, le commissioni romane, le fortune e le sfortune critiche, il ruolo dell’artista nel tessuto sociale e più in generale l’analisi della produzione di un personaggio troppo spesso bollato soltanto come “maestro” di Raffaello, sono tutti aspetti che si possono trovare in questa Adorazione di Perugino, i cui dipinti, diceva Gombrich, «ci aprono uno spiraglio su un mondo più sereno e armonioso del nostro».

Massimiliano Muraro

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