Da uno studio dell’Asl è emerso che il lockdown ha inciso sui pazienti affetti da demenza

L'equipe del dottor Comi

Da uno studio condotto da un gruppo di medici dell’Asl di Vercelli dei reparti di Neurologia, Geriatria e Psicologia clinica, è emerso che durante il primo lockdown del 2020 l’isolamento ha accelerato il processo di decadimento delle funzioni cognitive dei pazienti con demenza. I soggetti coinvolti sono stati sia pazienti affetti da Alzheimer sia pazienti in fase di pre-Alzheimer, con un decadimento cognitivo lieve.

Lo studio ha riguardato 132 persone con un’età media di 78 anni colpite da demenza, ma non da Covid-19, e già seguite dagli ambulatori dell’Asl di Vercelli. I ricercatori, guidati dal direttore della Neurologia Cristoforo Comi hanno confrontato le performance cognitive dei pazienti affetti da disturbi cognitivi, in particolare da Alzheimer, negli anni 2017/2018, 2018/2019 e 2019/2020.

I ricercatori hanno utilizzato l’esame mini mental test, che attraverso domande mirate consente di valutare le funzioni cerebrali, come l’orientamento, la memoria, l’attenzione, la capacità di calcolo e il linguaggio. Grazie a questo test, ripetuto nel corso degli anni, il team di medici ha potuto constatare come lo scadimento delle performance cognitive dei pazienti seguiti nell’ultimo periodo, ovvero quello interessato dalla pandemia, sia stato del doppio rispetto a quello dei gruppi degli anni precedenti. I punteggi, annotati su una scala, hanno evidenziato come gli effetti del lockdown abbiano fortemente velocizzato il processo degenerativo.

«I risultati hanno dimostrato come il lockdown e l’isolamento abbiano avuto un forte impatto sui nostri pazienti che non potendo muoversi o ricevere visite da parte dei parenti hanno subito un severo peggioramento delle loro capacità cognitive – ha spiegato il direttore Comi – Queste limitazioni non hanno avuto una ricaduta negativa solo sulla loro vita, ma anche su quella delle loro famiglie e dei caregiver. Anche la mancanza di visite di controllo potrebbe aver influito sulle condizioni generali di queste persone che nel lockdown hanno avuto forti limitazioni a livello di attività quotidiane».

Lo studio, pubblicato sulla rivista internazionale International Journal of Environmental Research and Public Health, è stato condotto oltre che da dal direttore della Neurologia Comi anche da Barbara Sarasso geriatra del Centro per i Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD), e da Giacomo Tondo, ricercatore specializzato in patologie degenerative, demenze e disturbi del comportamento.

«Ora – ha concluso Comi – vedremo se con le riaperture, e quindi con più stimoli, più visite e maggiore autonomia, le condizioni dei pazienti miglioreranno. Vogliamo andare avanti con lo studio per rispondere alle esigenze della popolazione con servizi migliori, ancora più mirati e personalizzati».

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1 commento

  1. Il dottor Comi ha colto nel segno! … le conclusioni non sorprendono .. ma E’ IMPORTANTE CHE LO STUDIO SIA STATO FATTO! …
    “I soggetti coinvolti sono stati sia pazienti affetti da Alzheimer sia pazienti in fase di pre-Alzheimer, con un decadimento cognitivo lieve”.
    Ora, il dr. Comi e tutta l’equipe potrebbero estendere il loro studio alle altre categorie psicologiche e anche al di fuori di tali limiti. Ho l’impressione che coloro i quali prima del covid-19 rientravano nel gruppo di pazienti “che stanno benino” (mia classificazione prescientifica) ora, dopo un anno e passa di vita (si fa per dire) nella società-dell’era-covid .. rientrino ALMENO nella fascia “pre-Alzheimer, con un decadimento cognitivo lieve”.
    IMMAGINO CHE AL DR. COMI E AL SUO GRUPPO GIUNGERA’ PIU’ INSISTENTE DI TUTTE LA RICHIESTA URGENTE DI ULTERIORI STUDI DA PARTE DEL MINISTRO SPERANZA CHE NON VEDE L’ORA DI APPLICARLA (in un modo o nell’altro) ALL’ESPERIMENTO SOCIALE DI SEGREGAZIONE DEL POPOLO ITALIANO.

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