Salvatore Giò Gagliano racconta la “sua” pandemia in una mostra a Cerrione

“Non c’è speranza senza paura, e paura senza speranza”. E’ un pensiero di Papa Giovanni Paolo II che sta alla base del progetto artistico “Hope “ (Speranza) elaborato da Salvatore Giò Gagliano in piena pandemia e portato adesso in mostra alla Tenuta Castello di Cerrione in via Libertà 34. Inaugurazione giovedì 9 settembre, alle 18, dopodiché la mostra resterà aperta fino al 2 ottobre e si potrà visitare tutti i venerdì e sabato dalle15,30 alle 18,30. L’evento è a cura del Centro culturale “Conti Avogadro di Cerrione”.

Diplomato in Arte Terapia presso l’Associazione per lo Studio e la Promozione delle Risorse Umane “Risvegli” di Milano, Salvatore Giò Gagliano lavora da ventun anni come Educatore presso il Centro Diurno della Comunità Muni Prestinari Anffas onlus di Vercelli. Al di là del suo lavoro, Giò Gagliano è soprattutto un artista di rara sensibilità che utilizza spesso, ovviamente con la loro approvazione, le persone diversamente abili dell’Anffas trasformandole in soggetti indimenticabili per le sue fantastiche realizzazioni fotografiche: ricordiamo tutti le sue riletture delle più importanti opere della pittura di tutti i tempi, e ricordiamo la mostra dello scorso anno alla Torre Grimaldina di Palazzo Ducale, a Geova, dove egli “trasportò” artisticamente i suoi ragazzi dell’Anffas e quelli dell’Associazione “Perdincibacco” sui luoghi delle stragi naziste per raccontare con una forza delle immagini sconvolgente “lo sterminio nazista dei disabili”.

Hope parte invece da una riflessione profonda sulla pandemia, ed il soggetto rappresentato nelle immagini è lui stesso, Salvatore Giò Gagliano. Commenta la curatrice della mostra Claudia Ghirardello:

 

“Storditi. Siamo stati storditi dal peggiore degli incubi. Il Covid 19, un virus altamente pernicioso, ha attraversato i corpi e gli animi, seminando angoscia generale e, troppo spesso, morte. Non eravamo preparati, anzi e peggio ci siamo scoperti impreparati. Tutti. Il tempo è passato, lento, e ha insegnato a piantare croci, sulla terra e nei cuori. Abbiamo imparato tanto. A non dare alcunché per scontato ed a rimpiangere il consueto, a sopportare la sofferenza, a convivere con la paura, il dubbio, il rischio. Abbiamo imparato ad avere pazienza… ed abbiamo ritrovato il tempo per pensare”.

Giò Gagliano, incide queste paure, queste sensazioni di morte, che si sublimano però nella speranza, sul suo stesso corpo – un po’ Francis Bacon un po’ David Cronenberg –  contrapponendo il cuore al cervello. Ma in un’altra sezione della mostra, “The experience of breath”, il soggetto è un giovane imprigionato in una gabbia di nylon. Conclude l’esposizione, un filmato, che scorre continuamente, in cui amici e persone care all’autore, indossano quattro mascherine e se ne tolgono, via via, tre. “Saluteremo con gioia liberatoria  il giorno – dice Salvatore Giò Gagliano – in cui tutti i personaggi rappresentati potranno togliersi anche l’ultima mascherina”.

 

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1 commento

  1. Uno dei trucchi usati dagli artisti che non hanno nulla da dire é quello di usare messaggi “forti”, non prima di aver studiato quegli altri artisti che hanno detto e pensato prima di essi. Basta un minimo di estro e il gioco è fatto. Per decenni, a volte secoli, sei catapultato nell’olimpo!…. dalla critica… perché anche fra i critici .. ci son quelli che sanno dire niente e dar a sembrare di aver “detto Tutto”.. ed é il meglio che possa capitare.. me lo spiegò un grande artista e direi che “corrisponde”.
    Certamente non è questo il caso!!!?

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