Padre Minghetti e quella Vercelli meravigliosa che avrebbe meritato il Nobel per la Pace

Padre Minghetti a Vercelli con i suoi ragazzi (Foto Renato Greppi- La Stampa)

Caro Padre Minghetti,

grazie a lei fra la primavera del 1994 e i primi mesi del ‘96, Vercelli visse un’avventura incredibile per la quale l’Unicif avrebbe dovuto insignirla di una medaglia speciale al merito, da ostentare con orgoglio nel suo labaro. Purtroppo non l’ha fatto, ma la nostra città se lo sarebbe meritato (di questi tempi la si sarebbe potuta proporre anche per il Nobel per la Pace).

Ricordo bene quei mesi perché pure la “Fondazione italiana Specchio dei Tempi”, che allora anche io – come capo servizio della redazione provinciale de La Stampa – ed i miei colleghi del giornale rappresentavamo, si mise subito a disposizione dei 57 piccoli profughi che lei riuscì a portare a Vercelli, salvandoli da una delle più atroci guerre civili nella storia del nostro vecchio mondo: una guerra scandita a colpi di uccisioni e di mutilazioni.

“Specchio dei Tempi” aprì una sottoscrizione, per favorire il soggiorno di quei poveri bambini e ragazzi, che toccò una cifra enorme; ma fu l’intera città a mobilitarsi, sindaco in testa (era Gabriele Bagnasco). Fu trovata una collocazione decorosa nell’ex ospedale pneumologico “La Bertagnetta”, che i piccoli ruandesi chiamavano “Inzu”, cioè casa nella loro lingua e che era puntualmente affollata di persone che andavano a trovarli, portando loro di tutto: giocattoli, dolci (quanti “bicciolani”), patatine, bibite. Le scolaresche accorrevano a frotte, issando cartelli: “State qui con noi”.

Ed io ho un particolare ricordo della Cooperativa “L’Arciere”, allora presieduta da Paolo Ambrosini, che fece davvero di tutto per fare sentire amati e accolti fraternamente quei giovani, tanti dei quali mutilati nel fisico e nell’anima. L’immagine del vice presidente dell’”Arciere” Claudio Berlini che fa giocare alcuni dei giovani ruandesi con gli aquiloni mi resterà per sempre impressa come un ricordo tra i più cari della mia intera vita di giornalista.

 

E poi venne il giorno in cui la fazione politica allora al comando in Ruanda pretese che i ragazzi tornassero perché la situazione – si diceva dall’Africa – si era normalizzata. “Non si è normalizzate per niente”, replicò lei con durezza, tutore dei 57 ospiti, appoggiato dal sindaco Bagnasco, dal magistrato Domenico Attimonelli e da una giovane avvocatessa, che avremmo purtroppo pianto solo dieci anni dopo, Donatella Pallavicini.

Partirono lettere dettagliate al premier Lamberto Dini, al Presidente Scalfaro e alla Ue: “I ragazzi non si muovono di qui, ne va della loro vita”. Una marea di studenti, una mattina che ancora ricordo con emozione, venne a sostenere la protesta: “Non vi rimanderemo là, se non quando potrete farlo in piena sicurezza”. Perché era ciò che era stato garantito all’allora ministro Guidi (primo governo Berlusconi) quando i giovani africani arrivarono qui il 30 luglio 1994.

E dunque i suo ragazzi rimasero ancora un bel po’, anche se furono costretti a trasferirsi nelle ex scuole elementari del Concordia (dove oggi c’è il Comando dei Vigili Urbani) perché, nottetempo, arrivò un incredibile diktat dell’allora Usl  che diceva: “La Bertagnetta deve essere ristrutturata in fretta perché la sanità vercellese ne ha bisogno” (sono passati 25 anni da quell’”in fretta”e l’ex pneumologico è un rudere inutilizzabile).

Continuarono a stare qui. La famiglia Givogre  apriva gratis i suoi cinema; l’allora gestore del Centro Nuoto Guido Gabotto li ospitava in piscina offriva la merenda;  il giostraio Devinci Caroselli e i suoi colleghi regalavano giri omaggio nel parco divertimenti all’ex cascina Borghetto; le gelaterie non  facevano pagare le consumazioni, le pasticcerie idem; e poi gli inviti alle castagnate, alla panisse e alla sfilate carnevalesche; la domenica i ragazzi avevano la possibilità di ascoltare la messa in ruandese, e poi per qualcuno ripartì seriamente anche la scuola. A seguirli, un vero esercito di volontari, capitanato da suo fratello Marco e da sua cognata Ombretta.

Solo ricordando quei mesi si viene pervasi da un’emozione indescrivibile. La nostra città si illuminò di immenso, ma fu soprattutto lei, padre Minghetti, ad accendere quella luce che, nel cuore di tutti quelli che c’erano (pur giovani, pur piccoli), ancora lampeggia.

Oggi, Padre, lei se n’è andato. Mi piace pensarla trascinato in un cielo chagalliano da uno degli aquiloni che incantavano i suoi ragazzi. Oggi molto di loro sono adulti, tanti sono già padri. E sono certo che oggi, in Ruanda, c’è stata una sorta di lutto nazionale, non proclamato ma sentito, in centinaia di case. Perché se quelle case ci sono, se oggi sono abitate, è perché un sacerdote venuto dal rione povero Belvedere (quello in cui recitò la sua prima messa, e siamo grati a Flavio Ardissone di avercelo ricordato) decise di combattere una battaglia che sembrava impossibile contro la follia della più folle delle guerre. Vincendola. Perché al sua fianco aveva una città, la nostra città.

Riposi in pace, padre. Nessuno lo merita più di lei.

edm

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1 commento

  1. Tanti ricordi di quelle giornate, gioiose e impegnative ma ricchissime di emozioni, giornate trascorse con Lei indimenticabile padre e i ragazzi della comunità. Comunità dalla quale sono nate almeno 2 vocazioni Jimmy, ormai sacerdote salesiano e Giovanni (detto Maradona) che ha intrapreso la via francescana. Luci in un orizzonte buio, quello attuale… e Lei caro padre, sicuramente ha dato un esempio speciale ai suoi ragazzi e a tutta la chiesa eusebiana. Ho la certezza che laggiù in Ruanda, il suo ricordo è più che mai vivo. Tempo fa avevo seguito una trasmissione di Rai3. La troupe accompagnava ragazzi stranieri residenti in Italia, nel loro Paese di origine. In quell’occasione era una ragazza adottata in provincia di Cuneo che era arrivata in Italia con Lei. Una volta giunta in Ruanda ha ritrovato il padre e il fratello. Una suora del posto, intervistata, ha parlato di Lei e della sua missione.. che emozione grande!!! La Sua è stata una vita esemplare, nessuno potrà dimenticherLa.

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