Origini e fortune della chiesa di San Giuliano

«La tradizione, non si sa con quanto di fondamento, vorrebbe questa chiesa esistente già dai tempi di S. Eusebio, e che in essa si rifugiasse sovente il Santo allorché era perseguitato dagli ariani. Si vuole anzi che sia stata restaurata da S. Giulio d’Orta, dedicandola a S. Giuliano vescovo martire del I secolo, in memoria di suo fratello diacono, che aveva appunto nome Giuliano».

Così nel 1909 in Vercelli sacra Riccardo Orsenigo scriveva a proposito della chiesa di San Giuliano che si trova esattamente all’angolo tra corso Liberta e l’innesto in via Foà, a lato di Palazzo Centoris. Ora, non siamo in possesso di documenti storici che attestino il luogo come asilo prediletto di Eusebio durante la persecuzione di cui parla Orsenigo, tuttavia ciò non contraddice il fatto che la parrocchia sia davvero tra le più antiche di Vercelli.

Secondo gli studi condotti da Giulio Cesare Faccio, l’area occupata dall’edificio coincide con uno dei quattro angoli del castrum romano. Probabilmente è proprio il suo essere stato punto strategico in età antica ad aver fatto nascere la storia relativa alla fuga di Sant’Eusebio dagli eretici.

Una data da cui partire però l’abbiamo: nel cerimoniale scritto dal vescovo Alberto l’11 novembre del 1185 si legge che San Giuliano era la prima stazione del solenne corteo che si dirigeva prima alla Concattedrale di Santa Maria Maggiore in via Duomo e infine in Cattedrale. Perciò che la chiesa fosse punto di partenza di una processione così grandiosa è indizio della sua valenza religiosa, oltre che chiaramente della sua pregressa esistenza.

Domenico Arnoldi in Vercelli vecchia e antica spiega che nei pressi di San Giuliano era posta una porta vetere da dove partiva la seconda parte del muro orientale che, seguendo via Foà, andava a raggiungere la torre vetere del Salvatore e a sud la porta vetere di San Tomaso. Onde evitare confusione prendiamo a prestito le parole di Arnoldi per fare chiarezza sul perimetro del castrum romano che «era costituito dai quattro muri aventi ai quattro vertici le quattro porte; una a fianco della chiesa di San Giuliano, una seconda nell’attuale via Dal Pozzo, una terza in via Galileo Ferraris, una quarta in via Fratelli Laviny».

Sebbene il primo nucleo fosse di origine romanica, San Giuliano, più o meno come la vediamo oggi, risale alla seconda metà del 1500. Nel corso del tempo sono stati messi in atto quattro rifacimenti, il primo dei quali verso il 1848 con il rinnovamento dell’intonaco esterno e il ritocco di alcune parti interne, il secondo nel 1880 seguendo il progetto del geometra Andrea Bona, il terzo tra il 1960 e il 1970 ci ha consegnato la chiesa attuale e infine il quarto nel 2014 che ha interessato l’intera chiesa con restauro e risanamento conservativo degli intonaci interni, della facciata e del campanile.

La testa antropomorfa murata sullo spigolo del campanile.

Proprio su uno spigolo del campanile che affaccia su corso Libertà a un’altezza di circa cinque metri è posta una piccola testa antropomorfa che si pensa appartenesse a qualche elemento del corpo di fabbrica originario. Si tratta di un curioso vezzo e – per quel che interessa a noi – di una discreta ma evidente testimonianza del periodo romanico, giustificato anche dalla pianta della chiesa, rettangolare e di dimensioni ridotte, quasi un sacello. Un ambiente unico, diviso da tre navate con volte a crociera, dove la centrale è più alta rispetto alle due laterali. Ciò garantisce una modesta spinta verso l’alto e una certa qual profondità, accentuata dall’abside davanti al quale è posto l’altare.

La facciata è semplice, a salienti, con lesene e cornici che riprendono le tinte dei mattoni, quasi a voler instaurare un dialogo tra sacro e profano con il vicino Palazzo Centoris, mirabile esempio di architettura rinascimentale, realizzato da progettisti di scuola bramantesca. La parte destra della facciata è tagliata a metà dal campanile a base quadrata con tre ordini di bifore, Una soluzione che sacrifica molto la visione frontale della chiesa, regalando un senso di costrizione.

Il reale interesse artistico di San Giuliano si ha però varcata la soglia. Il visitatore si sorprenderà dalla sua magnificenza decorativa che a un’analisi più attenta risulterà appartenere a periodi ben diversi tra loro. Alzando gli occhi saranno i rosa e i chiari degli ornamenti a finto stucco e marmo di gusto settecentesco a prevalere; abbassandoli, nella parte mediana, sui pilastri è possibile osservare, un po’ stinte dal tempo, figure di santi che la critica ha accostato prima a Gerolamo Giovenone (1490-1555) il quale fu «l’esponente di maggiore rilievo della famiglia, per almeno tre generazioni al centro delle vicende legate alle arti figurative a Vercelli», attivo nella prima metà del XVI secolo, e in seguito a Bernardino Lanino (1512-1578), ipotesi scaturita dagli studi di Giovanni Romano nel saggio Casalesi del Cinquecento (1970).

L’affresco con angeli e putti nella parete di destra.

Gli affreschi raffigurano in ordine sparso san Francesco che riceve le stimmate, sant’Agostino, san Sebastiano, santa Caterina, sant’Antonio, sant’Erasmo, un santo vescovo e sant’Erasmo. Sulla parete di destra un lacerto rimaneggiato con angeli. Parlano una lingua rinascimentale, soprattutto san Francesco, santa Caterina e il Redentore, a differenza di sant’Erasmo che per la sua ieraticità pare dipinto da mano più inesperta e incerta. Sono comunque visibili le novità stilistiche apportate da Gaudenzio Ferrari che per Giovenone e Lanino è sempre stato punto di riferimento.

Dicevamo dell’intervento di Bernardino Lanino che di Gerolamo fu parente, ragion per cui è presumibile che in San Giuliano sia da ravvisare un lavoro di cooperazione. Del pittore nativo di Mortara c’era, e di questo ne siamo sicuri, un Compianto su Cristo morto, eseguito dal maestro nel 1547. Oggi quella tavola è conservata all’Arcivescovado di Vercelli, tuttavia in fondo alla navata destra è presente una sua riproduzione fotografica quasi perfetta, al punto che solo l’occhio più allenato può distinguerla dall’originale. La composizione della scena, le sfumature dei corpi e delle vesti dei numerosi personaggi, le loro espressioni cariche di pathos attestano un abbandono progressivo del Rinascimento e una svolta repentina verso la Maniera.

San Francesco che riceve le stigmate e Redentore.

Inutile rammentare a chi volesse approfondire le vicende artistiche di quegli anni che San Giuliano è solo una delle tante tappe da prendere in considerazione. Le altre due obbligatorie sono la chiesa di San Cristoforo, rinomata per il ciclo di Gaudenzio Ferrari (Madonna degli Aranci, Storie della Vergine e di Maddalena, Assunzione e Crocifissione), vero e proprio punto di svolta della pittura piemontese nel 1500, e il Museo Borgogna. Le sue sale custodiscono un’antologia unica dell’arte vercellese e del suo territorio: Giovanni Martino Spanzotti, Defendente Ferrari, ancora Gaudenzio, Gerolamo Giovenone, Eleazaro Oldoni, Bernardino Lanino. Nomi che hanno garantito nel giro di pochi decenni lo sviluppo e l’emancipazione di un idioma che ancora oggi, a distanza di secoli, affascina per la sua completezza e per la sua ricchezza.

Massimiliano Muraro

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2 Commenti

  1. Quanti di noi non hanno mai visto, dopo i restauri, l’interno di questa bellissima e misteriosa chiesa! .. inesauribile, per ciò che si vede (soprattutto se .. ci viene “spiegato”) e per quanto forse ancora non è stato portato alla luce!? ..
    Oltre all’interessante resoconto, bella anche la foto introduttiva (sorprendente, nello stile un po’ spericolato, forse appartiene alla ricca “produzione” dell’ultima Eleonora Viazzone?), interpreta la piazzetta e quell’angolino, tanto “diverso” al punto di meravigliarci sottilmente ogni volta che appare ai nostri occhi .. mutevole a seconda della via dalla quale proveniamo (!), e questa immagine pare voglia evocare il “punto di partenza di una processione così grandiosa..” e le altrettanto invisibili vestigia romane di “porta vetere” di San Giuliano, proponendocene il percorso !!?

  2. Amo codesta chiesa e tra gli affreschi relativi alla fine ‘400/500 mi ha colpito il San Sebastiano che è molto somigliante a quello di Caroto, pittore veronese, che operò anche in Piemonte intorno alla metà del ‘500.

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