Livio Ghisio e Annalisa Canetto tra le risaie e il West

Foto di Matteo Bellizzi

Tra la risaia e il West: parafrasare Francesco Guccini potrebbe essere un buon punto di partenza per raccontare Far West (produzione Arteinscacco), lo spettacolo scritto e diretto da Livio Ghisio, che lo interpreta insieme a una ispirata Annalisa Canetto, inserito in Parole d’Artista, la rassegna che ha come slogan l’efficace “ogni luogo è un teatro”, assioma guida della compagnia che l’ha organizzata, Teatro di Dioniso con la collaborazione di Cuocolo/Bosetti e di Arteinscacco.

Già, ogni luogo può essere davvero teatro, compreso il cortile ghiaioso di una biblioteca di provincia. Siamo a Stroppiana, luogo di nascita di Livio che, qui incalzato da una severa e al tempo stesso rassicurante Canetto (compagna di scena e di vita), fa i conti con il suo passato e con le sue origini. Lo stesso potremmo dire di Annalisa, che però si pone dal lato opposto del microscopio, ovvero dove si osserva il fenomeno scomponendolo in tante piccole parti fino a trovare la ragione dell’insieme.

Due file di sedie disposte sul lato lungo per fare accomodare gli spettatori, una di fronte all’altra su quello corto. È lì che si accomoderanno guardandosi dritti negli occhi Livio e Annalisa (anche se staranno spesso in piedi). Sul muro scorrono titoli di testa scritti con i caratteri tipici del genere western e foto d’epoca che richiamano il Guccini di Radici.

Quello che abbiamo davanti agli occhi è un duello con tutti i crismi. Non manca nulla: stivali, cinturone, cappotto sgualcito, cappellone calato sugli occhi, pistola, dialoghi sincopati. I cultori del genere non faticheranno a trovare un rimando pertinente a Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone, uno dei registi prediletti di Ghisio che lo omaggerà anche nella famosa battuta di Noodles/De Niro in C’era una volta in America «Sono andato a letto presto». Frase peraltro che si ispira all’incipit della Recheche di Proust, altro nume tutelare del giovane drammaturgo vercellese da lui più volte ripreso nel corso dello spettacolo.

Il duello tra la coppia scopriamo poi essere fittizio, una prova di teatro nel teatro in cui Ghisio vorrebbe imparare a morire come faceva uno dei personaggi del film di Leone. Non uno dei protagonisti si badi bene, bensì una comparsa che aveva colpito il piccolo Livio per il suo modo eclatante e perfetto di cadere da cavallo, colpito dall’implacabile pistolero di turno.

Sì, perché se si deve imparare a vivere bene occorre pure morire bene, che sia nella finzione o nella realtà. Per questo motivo Livio tormenta Annalisa portandola all’esasperazione, facendole ripetere la scena fino allo sfinimento. Per lui uomo di paese, del Far West appunto, per certi versi incomprensibile alla donna di città, sapere imitare il suo eroe d’infanzia nel momento fatale è essenziale.

Le immagini di Livio palesano un viaggio nella provincia che fu: la vecchia che durante le polverose estati di quasi quarant’anni fa lo ristorava con una dissetante aranciata amara; la signora ingobbita che scaricava nel tombino frattaglie animali o chissà cos’altro, scambiate per pezzi di un corpo umano sbrindellato da quel bambino che guardava impaurito da dietro la finestra; i riti d’iniziazione dei giovani che avevano come unico sfogo o la festa del paese o il pub che serviva birra australiana d’importazione e altri intrugli che avevano spesso e volentieri effetti nefasti su chi li ingeriva; i baci furtivi scambiati lontano da sguardi indiscreti; le gare in motorino inseguiti da vigili con i quali il mattino dopo si prendeva il caffè al bar.

Annalisa legge cantando il menu di quel pub che ormai è chiuso da anni, mentre a Livio ogni birra, ogni cocktail risveglia in lui un ricordo. Tutto parte dalla birra, la sua madeleine proustiana (e di tanti della sua generazione): è la bionda in lattina a scatenare un flusso di coscienza degno del Leopold Bloom di Joyce. Dalla birra parte una serie impressionante di associazioni di idee che rappresentano un mondo forse perduto e che trasmettono immediatamente empatia, perché – inutile girarci attorno – alla fin fine diradano la nebbia delle nostre menti e si manifestano per ciò che sono: i ricordi di tutti noi, così diversi e così simili tra loro.

Livio sa che da solo non ce l’avrebbe mai fatta. È Annalisa a dargli la consapevolezza, a offrirgli in pasto la madeleine che scatena il turbinio incessante. È lei ad accendere la miccia della memoria. E infine prende per mano chi la ascolta aiutandolo a entrare in quel mondo che magari a molti potrebbe sembrare incomprensibile, come lo era all’inizio per lei che col tempo lo ha introiettato e che ce lo riporta davanti, seppur a brandelli (la memoria non si palesa mai nella sua interezza), fino a farci desiderare di tornare a pessime birre bevute e a strade deserte con l’auto parcheggiata sulla riva di un fosso, senza in fondo conoscere quale sia la vera differenza tra sogno e realtà.

Massimiliano Muraro

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