La storia del Moncalvo e degli affreschi a Palazzo Tizzoni

Guglielmo Caccia detto il Moncalvo, Gli dei e le muse in Parnaso, 1605-1608, affresco, Vercelli, Palazzo Tizzoni.

Sabato e domenica scorsi, in occasione della festa di Porta Milano, sono stati aperti due residenze storiche che di solito sono chiuse al pubblico: i Palazzi Tizzoni e Centoris. L’affluenza e il gradimento sono stati talmente alti che molti hanno pensato e chiesto di renderli fruibili in modo permanente e non soltanto durante particolari manifestazioni.

È il caso di Enrico Demaria che nella sua rubrica Divergenze ha lanciato un appello: Cerchiamo di riaprire (non solo per un giorno) la nostra “Sistina”. Nel suo articolo Demaria, che qui si riferisce a Palazzo Tizzoni, basandosi su un ricordo personale di Amedeo Corio, il compianto presidente dell’Istituto Belle Arti, e riportando le parole di Luca Brusotto, conservatore del Museo Leone, spiega i motivi per cui l’edificio è da anni “off limits”.

Il primo nucleo di Palazzo Tizzoni, cioè la casa e la torre ottagonale, risale al XV secolo. Fino al 1588 fu dimora dell’omonima famiglia ghibellina. Nel ‘700 la proprietà era dei Mariani, mercanti di origine milanese; poi nel 1874 l’edificio fu restaurato su progetto di Giuseppe Locarni. È nel 1960, a seguito di un ulteriore restauro, che sono venute alla luce grandi finestre con decorazioni in cotto, sia dal lato della piazza che da quello di corso Libertà. Cotto che rimanda senza dubbi al vicino Palazzo Centoris, altro esempio di residenza signorile dell’epoca.

Il valore storico-artistico di Palazzo Tizzoni è accresciuto dalla presenza in una delle sue sale di rappresentanza di un pregevole affresco di Guglielmo Caccia detto il Moncalvo (1568-1625): Gli dei e le muse in Parnaso, eseguito presumibilmente tra il 1605 e il 1608.

La carriera del Caccia si può dividere in tre tappe: la formazione e la prima attività piemontese (1568-1617), il breve soggiorno milanese durante il quale spicca l’incontro con Daniele Crespi (1617-1619) e il ritorno in Piemonte (1620-1625). A queste possiamo aggiungere il viaggio a Bologna dove entrò in contatto con i Carracci.

La sua precocità è testimoniata dall’esordio a diciassette anni con l’Annunciazione per la chiesa dell’Annunciata e la Sacra Conversione per San Michele, entrambi a Guarene. Successivamente eseguì affreschi per le cappelle della Presentazione al Tempio e della Nascita della Vergine al Sacro Monte di Crea. A Torino tra il 1605 e il 1607 lavorò con Federico Zuccari alla Galleria di Palazzo Reale, poi andata distrutta in un incendio.

L’elenco si potrebbe allungare senza alcun problema: Torino, Novara, Calliano, Candia Lomellina, Chieri, Acqui Terme, Nizza Monferrato, Monastero Bormida. Infine Moncalvo, città in cui si trasferì nel 1593 e dove nel 1595 nacque la figlia Orsola Maddalena che seguirà le orme paterne.

Il passaggio del Moncalvo a Vercelli fu fulmineo ma intenso. Assimilò subito la lezione di Gaudenzio e la fece sua. In città lasciò molte tracce del suo passaggio, tra cui il Cristo inchiodato sulla croce in San Bernardino e il già citato Gli dei e le muse in Parnaso di Palazzo Tizzoni-Mariani. Inizialmente quest’ultimo era stato attribuito a Lanino e Sodoma, ma poi, da un’accurata analisi stilistica, si è capito essere del Moncalvo.

La scena raffigura gli dei dell’Olimpo che poggiano su nubi e nelle fasce laterali le nove muse, ciascuna affiancata da una divinità. Il tema in questione era molto diffuso in ambito nobiliare per via dei significati ideologici e degli intenti celebrativi del committente, soluzione che trova illustri precedenti, come ad esempio la Farnesina a Roma, voluta dal ricco banchiere Agostino Chigi, e già fonte di ispirazione per il ciclo di affreschi presenti a Casa Alciati.

Tale tesi è confermata da Cinzia Lacchia la quale ha scritto che «si giustificherebbe in questo modo la presenza, ai quattro angoli della volta, dei gruppi di putti nudi con scudi bipartiti che rinviano ad alleanze matrimoniali tra la linea principale della famiglia». L’affermazione è condivisibile visto che nel 1602 i Mariani entrarono nel consiglio comunale cittadino, ottenendo una posizione bene in vista tra i notabili vercellesi.

Tuttavia i paralleli tra gli affreschi di Casa Alciati e quelli di Palazzo Tizzoni valgono fino a un certo punto, giacché si parla di un secolo prima. Dunque va da sé che in questo lungo lasso temporale i modelli sono profondamente mutati. Infatti, nonostante la cultura di corte del primo Seicento potesse contare su testi figurativi di grande prestigio, elaborati intorno agli ultimi anni del Cinquecento, l’opera non godette di molta fortuna tra i contemporanei a causa del soggetto scelto.

Il motivo è da ricercarsi nella condanna che la Controriforma aveva pronunciato nei confronti delle disinvolture e delle licenze del Manierismo. Il Moncalvo, che nel frattempo stava osservando con attenzione quanto gli succedeva intorno, optò allora per un’arte allineata che seguisse i dettami postridentini, cercando però di non venire meno ai desideri di chi gli aveva richiesto l’affresco. È anche grazie a questa sua diplomazia, unita al talento e alla capacità di fare suoi i fenomeni artistici coevi, che può essere definito il più importante esponente della pittura controriformistica in Piemonte.

Massimiliano Muraro

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