Casa di Riposo: quel no dell’ospedale a cinque richieste di ricovero la sera del 19 marzo

 

La clamorosa svolta sulle indagini per i 40 morti alla Casa di Riposo di Vercelli pubblicata questa mattina dal settimanale “La Sesia”, a firma di Matteo Gardelli, è del tutto attendibile. La famosa (e terribile) sera del 19 marzo – di cui il nostro giornale aveva  parlato espressamente il 7 aprile, come epicentro di tutto lo sconvolgente tsunami pandemico che ha poi travolto l’ex Ipab vercellese – quando, di colpo, durate il giro serale di controllo si scoprì che cinque ospiti dell’istituto presentavano i sintomi preoccupanti del Covid, dalla Casa di riposo di piazza Mazzini partì la richiesta immediata di ricovero in ospedale, ma la risposta dal “Sant’Andrea” fu raggelante: “Abbiamo un solo posto disponibile, ed è meglio destinarlo ad un paziente più giovane”.

A quel punto, disperati, i responsabili della Casa di riposo chiedono aiuto alla Protezione civile che porta subito le bombole ad ossigeno indispensabili per i cinque ospiti che hanno febbre alta e l’ossigenazione preoccupante. Ma il problema è che – probabilmente infettati da un altro ospite che andava spesso a fare la dialisi (e poi tornava) al Sant’Andrea – sono rimasti lì e sono poi morti in pochi giorni. E con loro, purtroppo, altre 35 persone in poco più di un mese.

L’altro giorno i Nas si sono presentati all’interno della struttura e si sono messi al lavoro, per ore, sequestrando materiale importante che il sostituto procuratore Davide Pretti sta esaminando con meticolosa attenzione: soprattutto sarà interessante far luce sulla corrispondenza intercorsa in quei giorni sconvolgenti tra la Casa di riposo e l’Asl: sono stati “solo” cinque gli anziani che l’ospedale ha ritenuto di non poter ricoverare o, come si sussurra in ambienti ben informati (anche se questa è una cosa totalmente ancora da appurare) ci cono stati altri “no”? E perché solo il 31 marzo, e cioè 12 giorni dopo quella sconvolgente serata, che è stata l’inizio di tutto, si è provveduto a fare i primi, parziali tamponi, in una struttura che si era ormai probabilmente  trasformata in un immenso focolaio Covid?

 

Il sostituto procuratore Davide Pretti

Quesiti sui quali Pretti sta indagando a fondo lavorando senza sosta con il supporto della Squadra di Polizia Giudiziaria, del Nucleo investigativo dei carabinieri e dei Nas. Per ora il magistrato ci conferma che gli indagati continuano essere due (il direttore generale Alberto Cottini e il direttore sanitario Sara Bouvet), ma l’impressione è che tra non molto ci potrebbero essere altre iscrizioni nel registro degli indagati. 

Sulla vicenda, e soprattutto su questi sviluppi, questa la dichiarazione congiunta dei difensori Massimo Mussato (che difende entrambi gli indagati) e Aldo Casalini (che difende  la dottoressa Bouvet): “Esiste il vincolo del segreto istruttorio che ad oggi ci impone ancora determinati silenzi. Certo è che quando i nostri assistiti verranno sentiti da parte degli inquirenti saranno portatori della loro verità su questa drammatica vicenda. E si farà luce sulla correttezza del loro operato e sulla loro impossibilità di agire in modo diverso da come è stato. Così come avverrà, sotto altro profilo ma nello stesso senso, in seguito all’esame dei numerosi documenti che dimostreranno la loro piena innocenza”.

Intanto sul fronte delle altre Case di riposo (una decina, anche del Casalese e dell’Astigiano) su cui la Procura di Vercelli sta indagando (quattro sono nella nostra provincia), il dottor Pretti conferma che, al momento, non ci sono iscritti nel registro degli indagati e che l’indagine, per ora contro ignoti, riguarda i reati di epidemia colposa e di omicidio colposo plurimo (per intenderci lo stesso reato per cui venne processato Schettino).

Edm

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