Caro Sollima, ti avremmo ascoltato fino all’alba (anche ben oltre)

Giovanni Sollima al Civico (foto Renato Greppi)

Dato che non riusciamo a trovare gli aggettivi acconci per il concerto che Giovanni Sollima ha tenuto domenica sera al Civico, potremmo cavarcela in poche righe scrivendo che – a proposito degli eventi organizzati dalla Camerata Ducale nella nostra città – si potrebbe ormai parlare di un avanti Sollima e di un dopo Sollima. E’ un iperbole, ma ci sta.

Da sempre il violoncello mi affascina con il suo mistero. Poco più che bambino, al cinema, andai a vedere l’unico film in cu Ingmar Bergman voleva farci ridere “A proposito di tutte queste…signore” e rimasi molto colpito dalla figura del sommo violoncellista Felix, invano braccato nella sua stupenda villa neoclassica dal vanaglorioso critico musicale Cornelius.

Poi, qualche anno dopo, la scoperta che l’allora maestro e oggi amico fraterno Angelo Gilardino aveva incominciato lo studio del violoncello, su consiglio del maestro Aristide Colombo che, docente alla “Vallotti”, nonostante Segovia e nonostante la letteratura chitarristica già fiorente, riteneva la chitarra uno “strumento da osterie”.

Confesso che spesso, dopo quella “rivelazione”” ho immaginato Gilardino alle prese con il violoncello, ed è anche per questa ragione che ho preso ad amarlo quasi come amo la chitarra, e Daniele Bogni mi conquista  sempre con la sua lineare maestria.

Ma non conoscevo, se non marginalmente, Giovanni Sollima e la traccia che mi ha lasciato (penso non solo in me) mi ha davvero solcato il cuore, andando in profondità, dove la spugna non giunge. Non è stato, quello di domenica, un concerto, ma uno spettacolo tanto atteso (doveva svolgersi nella stagione musicale scorsa, ma fu annullato per la pandemia) quanto al di sopra di ogni attesa.

Giovanni Sollima si è divertito (anche scendendo tra il pubblico con il suo violoncello, come si farebbe con una chitarra o un mandolino) e ci ha divertiti, ma è stato esemplarmente rigoroso con Bach e con i meno conosciuti violoncellisti del Seicento Galli e Dall’Abaco; incantevole con Stravinsky, geniale nelle sue composizioni, con quel Fandango (after Boccherini) stupefacente. E poi i bis: la “pizzica di Santo Paulu” per contraccambiare – così l’ha motivato – il classico omaggio del riso Acquerello da parte di Cristina Canziani ed infine  la meravigliosa “Angel” di Jimi Hendrix.

Il pubblico non avrebbe lasciato il Civico, ma s’era fatto relativamente tardi. Solo che non se n’era accorto proprio nessuno, eppure il concerto era proprio finito. Non è stato facile farsene una ragione. Un ritorno, a Civico esaurito nel post Covid, sarebbe assai più di un regalo. Sento che la Ducale ce lo farà.

Edm

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2 Commenti

  1. Il breve ma incisivo racconto della serata è un rimprovero agli assenti.. senza rimedio. Un ben assestato calcione nelle nostre terga. Meglio ricevere il piede che l’arco…. Chissà se vi saranno registrazioni accessibili, sia pur.. quotate in borsa!?

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